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Hates – House at the End of the Street – Recensione

La teenager Elissa si trasferisce insieme alla madre divorziata in un quartiere esclusivo, dove le due intendono iniziare una nuova vita. Ma il ragazzo che abita nella casa di fronte, dove i genitori furono uccisi dalla sorella schizofrenica, nasconde un segreto inquietante. Elissa stringe amicizia con lui, e poi qualcosa di più. L’interpretazione della brava e graziosa Jennifer Lawrence, intrigante nel suo avvolgere il personaggio in un involucro di scontrosa dolcezza, è la maggiore attrattiva di un dramma psicologico molto “psico” e poco logico. Parlare di thriller, genere in cui molti lo hanno fatto rientrare, richiede un grosso sforzo di immaginazione. Per i tre quarti abbondanti della durata la sceneggiatura preferisce infatti concentrarsi sui personaggi e i loro rapporti interpersonali, tenendo desta l’attenzione attraverso i dialoghi e i passaggi d’atmosfera. In questa fase, ben girata e gradevolmente scorrevole, si sorride e ci si incuriosisce senza provare il pur minimo spavento. Le incursioni nel territorio del mystery e della suspense, legati alle parallele vicende del timido dirimpettaio, lasciano presagire svolte narrative inesistenti in quanto si concludono puntualmente in un nulla di fatto. L’incertezza fra i toni della soap adolescenziale e quelli del dramma a tinte fosche prosegue fino alle battute conclusive, quando i due piani narrativi smettono di sfiorarsi ed entrano in collisione provocando la tanto attesa irruzione del thriller vero e proprio. Il tutto si risolve però in una banale fiera del già visto, appesantita da pretestuosi (nonché intricati e confusi) riferimenti a “Psycho”. E’ un peccato perché la regia di Mark Tonderai si era difesa più che dignitosamente, a partire dalla sequenza d’apertura in forma di flashback ipnotico e sincopato. Un inizio che purtroppo, alla luce delle rivelazioni successive, è anche macchiato da una disonestà imperdonabile verso lo spettatore. E’comunque un prodotto indicato soprattutto per il pubblico femminile, meglio se di bocca buona.

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