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Humandroid – Recensione

Nel Sudafrica di un prossimo futuro, le forze di polizia sono state soppiantate da intelligenze artificiali antropomorfe. L’efficienza è massima, il crimine è ai minimi storici. Un giorno il giovane e geniale creatore di tali macchine compie un passo avanti epocale: dar vita ad un robot senziente in tutto e per tutto, capace di sentire ed apprendere come un essere umano se non più rapidamente. Questa creatura, all’inizio spaurita ed indifesa, acquisirà coscienza di se e del mondo che la circonda. Proverà la sofferenza e conoscerà l’amicizia, prendendo decisioni autonome riguardo il proprio destino. Neill Blomkamp (District 9, Elysium) fa ritorno nei familiari ambienti urbani di Johannesburg, sempre dedito ad una fantascienza che ci riporta a difficili e profonde questioni (etiche, politiche, filosofiche). Affiora inoltre una dimensione religiosa latente, sfogata in una conclusione persino trasgressiva, tale da sfiorare la poesia dell’assurdo. Però il film scricchiola, pur riuscendo miracolosamente a non crollare, sotto il peso di ambizioni considerevoli. Pur movimentato esteriormente, pecca di indecisione riguardo alla direzione da prendere, e finisce con l’attirare l’attenzione più di quanto sappia appassionare. Alla fantascienza sono incorporati l’action, il dramma, la comicità, il tutto tenuto assieme in equilibrio precario. Il rapporto tra ironia e serietà risulta indeciso, impacciato, e a risentirne è principalmente l’aspetto dolente e profondo della vicenda. Si fatica tanto a ridere quanto a piangere, nonostante la riuscita caratterizzazione del tenero e divertente protagonista. I diversi fili della narrazione (risvolto criminale, trame del rivale geloso, conflitto esistenziale) mal combaciano; anche il montaggio frammentato e veloce (non  sempre sinonimo di “trascinante”) sembrerebbe un espediente volto a dissimulare le falle di una regia dalle idee confuse. Certo il ritmo rinvigorisce nell’ultima mezz’ora, quando le già evidenti derivazioni dall’universo di Robocop vengono accentuate di proposito (inclusa una spruzzata di violenza stile Verhoeven!), ma è un ingranare lento e tardivo. C’è poi una pecca in comune, semmai, col recente remake del film di Verhoeven firmato da Padilha, ossia l’inconsistenza del reparto cattivi. Hugh Jackman ci propina un interpretazione stanca ed anonima, su un malvagio dal disegno incolore, mentre le figure secondarie mancano di incisività. La stessa Seagourney Weaver è a mezzo servizio, con poco da dire e da fare. A visione ultimata rimane l’impressione di un’opera disordinata e poco consistente, irrisolta sul piano espressivo. E’forse uno dei casi in cui l’eccesso di coinvolgimento emotivo da parte degli autori finisce per influire sul ragionamento, sul senso della misura. Con maggiore sintesi ed omogeneità Humandroid poteva essere magico, invece è solo coraggioso portatore di condivisibili messaggi.

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