Hunger Games – La ragazza di fuoco – Recensione
L’evento di punta di tutta la settimana del Festival di Roma è fissato per la giornata di giovedì, quando il film più atteso arriva nella sezione Fuori Concorso: Hunger Games – La ragazza di fuoco, sequel della pellicola del 2012 tratta l’omonimo romanzo di Suzanne Collins, che con i suoi 408 milioni di dollari incassati solo negli Stati Uniti, è diventato un fenomeno di risonanza mondiale.
Il film riprende il filo della narrazione con il ritorno a casa dell’eroina Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) uscita vittoriosa dalla 74ma edizione degli Hunger Games insieme al suo compagno, il ‘tributo’ Peeta Mellarck (Josh Hutcherson). La vittoria vuol dire anche cambiare vita e lasciare gli affetti più cari per intraprendere il ‘Tour della Vittoria’. Lungo la strada però Katniss capisce che la ribellione tra la popolazione dei distretti è latente ma che Capitol City cerca ancora di mantenere a tutti i costi e con qualsiasi mezzo repressivo il controllo, proprio mentre il Presidente Snow (Donald Sutherland) sta preparando la75ma edizione speciale dei Giochi. Questi saranno i Giochi della Memoria e coinvolgeranno i più famosi vincitori del passato tra cui Katniss che non avrebbe mai immaginato di dover tornare nell’arena perché duramente segnata dalle esperienze precedenti.
Siamo di nuovo nella realtà distopica di Panem, nei suoi 12 Distretti oppressi e nella scintillante Capitol City. Il film porta sullo schermo il secondo capitolo della trilogia della Collins con un grande spiegamento di forze e un budget superiore rispetto al primo film.
Nel passaggio dalla prima alla seconda avventura, il personaggio di Katniss subisce un cambiamento radicale, da ragazza altruista a donna forte, consapevole di lottare per la sua gente. Questa volta l’eroina viene coinvolta suo malgrado nella mietitura per un’edizione dei Giochi progettata apposta per la sua eliminazione dalle autorità che la considerano una minaccia.
Il terreno di gara si adegua alla durezza della nuova sfida: una giungla impervia con uno specchio d’acqua al centro suddiviso in settori che rappresentano le ore del giorno, un agone che può essere fatto girare come un orologio mortale mentre i guerrieri lottano per la sopravvivenza.
Di nuovo due mondi contrastanti in stridente opposizione, Panem con i suoi grintosi Distretti sottomessi e la scintillante Capitol City ricca di glamour (dove si bevono ‘bibitoni’ fatti apposta per vomitare e ricominciare a rimpinzarsi) e dipendente dagli spettacoli televisivi ideati con l’unico scopo di distrarre la gente dei Distretti che soffre la fame. E la metafora della distrazione di massa per allontanare la popolazione dalle preoccupazioni delle proprie miserie in questo film rafforza la sua forza di suggestione.
Certamente la scelta del regista Francis Lawrence (nessuna parentela con la diva protagonista), che ha già dimostrato di saper rendere visivamente accattivante una realtà apocalittica nel kolossal Io sono leggenda, si è rivelata vincente. Coadiuvato dagli sceneggiatori Simon Beaufoy e Michael Debruyn e dalla stessa Suzanne Collins, Lawrence ha dimostrato indubbie capacità di reggere il timone di un film così atteso e di essere un degno (se non superiore) sostituto del suo predecessore Gary Ross.
Gli innumerevoli ostacoli messi sul campo meritano attenzione se non altro per la resa scenica: nebbia tossica capace di provocare disastrose eruzioni cutanee, fulmini devastanti, pioggia di sangue, e poi le minacce del regno animale come scimmie violente e inquietanti ghiandaie imitatrici e infine una Cornucopia particolarmente pericolosa circondata dall’acqua. Il campo di battaglia messo in scena da Lawrence è un palcoscenico degno dell’importanza della lotta.
La grande qualità tecnica delle immagini, enfatizzata dall’uso della tecnologia delle telecamere IMAX, rende l’agone dei giochi più accattivante e coinvolgente del precedente.
Oltre alle imponenti scenografie, ai bellissimi costumi e a una colonna sonora da Oscar, un cast stellare completa la confezione, a partire dalla sua punta di diamante, un Katniss-Jennifer Lawrence sempre più consapevolmente matura del suo talento e carisma. Ad accompagnarla nell’avventura i due suoi uomini, l’inseparabile Tributo Peeta, che ha condiviso con lei la vittoria del primo capitolo perfettamente incarnato da Josh Hutcherson, e il prestante Gale Hawthorne l’anima gemella che la protagonista era stata costretta a lasciarsi alle spalle cui offre il volto il bel Liam Hemsworth. Il trio di star del primo film compone nuovamente il team di Katniss: la popstar Lenny Kravitz, il veterano Woody Harrelson e una colorata e kitsch Elizabeth Banks. Infine un duo di potenti d’eccezione come Donald Sutherland, che riprende il ruolo del Presidente Snow con accresciuta crudeltà, e la new entry Philip Seymour Hoffman nei panni di una delle nuove invenzioni più riuscite di questo secondo capitolo, Plutarc Heavensbee, vero stratega dei nuovi Hunger Games con il compito chiave di architettare tutte le forme di tradimento possibili. Menzione speciale ancora una volta per quel campione di istrionismo che risponde al nome di Stanley Tucci chiamato nuovamente a interpretare il ruolo del conduttore televisivo Caesar Flickerman, l’uomo capace di trasformare uno spietato gioco al massacro in uno spettacolo televisivo rutilante e abbagliante. Ed è certamente uno spettacolo abbagliante e di sicuro colpo al box-office questo secondo film della saga che fa leva proprio sul grande impatto visivo richiesto dall’epicità del racconto. Come ogni capitolo secondo di una trilogia, il finale è volutamente aperto (ovviamente) in attesa del terzo capitolo che (come ormai è di moda) sarà diviso in due parti.
Non possiamo infine non notare un’altra straordinaria corrispondenza, quella tra la Lawrence-Katniss, eroina simbolo di speranza per una nazione sottomessa e dilaniata dalla sofferenza, capace di alternare ombrosità, riflessività e smania di ribellione, e la Lawrence-diva, acclamata, come fosse davvero una guerriera paladina della libertà, da orde di ragazzine urlanti (ma d’altronde l’adolescenza non è l’età della ribellione?) e capaci di sostare ore e ore davanti alle transenne del Festival romano solo per godere di un fugace passaggio della star.
Elena Bartoni