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I due volti di gennaio – Recensione

Due destini che si intrecciano e che diventano sempre più legati, due uomini diversi, due facce che guardano in direzioni opposte, come quelle del mitico Giano: il dio raffigurato tradizionalmente con due volti da cui i romani hanno fatto derivare il nome di Gennaio. Il primo mese dell’anno che rappresenta il crocevia tra la fine del vecchio e la nascita del nuovo simboleggia anche la dualità in senso lato. Giano bifronte ovvero la dualità dell’uomo, come duale è Gennaio, mese posto non casualmente nel titolo del romanzo di Patricia Highsmith da cui è tratto questo film.
I due volti di gennaio racconta prima di tutto un duello tra due uomini dai volti diversissimi ma destinati a diventare “gemellati”.
La storia si svolge nel 1962 e inizia ad Atene. Un’affascinante coppia di americani, il carismatico Chester MacFarland (Viggo Mortensen) e la sua bella e giovane moglie Colette (Kirsten Dunst) stanno visitando l’Acropoli. Tra le rovine del Partenone si imbattono in Rydal (Oscar Isaac), un giovane americano che parla il greco e lavora come guida, raggirando le turiste. Attratto dalla bellezza di Colette e colpito dalla ricchezza e raffinatezza di Chester, Rydal accetta il loro invito a cena. Ma l’apparente affabilità di Chester nasconde scomodi segreti. Quando Rydal si reca nel lussuoso hotel dove alloggiano i MacFarland per restituire un braccialetto a Colette, Chester gli chiede aiuto per sbarazzarsi del corpo di un uomo, apparentemente incosciente, da cui afferma di essere stato aggredito. Sul momento Rydal accetta ma gli eventi prendono una piega sinistra e il giovane si ritrova sempre più coinvolto e incapace di tirarsi indietro. La sua infatuazione per Colette provoca la gelosia e paranoia di Chester, dando il via a un teso testa a testa fra i due uomini tra Atene, Creta e la Turchia.
Due uomini, due destini, una battaglia psicologica combattuta sul filo sottile di un rasoio. Due uomini e una donna, questo l’incipit della storia de I due volti di gennaio, una specie di triangolo amoroso (il riferimento iniziale del regista doveva essere al mito di Teseo, Arianna e il Minotauro, una delle scene centrali del film ha luogo tra le rovine città minoica di Cnosso), ma è un triangolo che si evolve trasformandosi in gioco a due (e qui la suggestione del regista è andata verso il mito di Zeus e Crono, il figlio che deve uccidere il padre).
Scritto e diretto dall’anglo-iraniano Hossein Amini (sceneggiatore di Drive e Biancaneve e il Cacciatore qui al suo debutto nella regia), il film è un raffinato adattamento del thriller di Patricia Highsmith pubblicato per la prima volta nel 1964. Le modifiche operate da Amini sui personaggi aggiungono certamente maggiore profondità al romanzo di partenza. In particolare, l’antagonismo tra i due protagonisti maschili che esce allo scoperto a metà film (mentre nel romanzo vengono messi fin dall’inizio ai ferri corti) ha l’effetto di bilanciare il sottile gioco tra i due.
Certo, il richiamo ad altre trasposizioni cinematografiche di romanzi della Highsmith, come Il talento di Mister Ripley di Anthony Minghella e l’indimenticabile L’altro uomo di Alfred Hitchcock, è evidente nel ritratto di personaggi complessi e contraddittori che si trovano ad agire in scenari carichi di tensione e oscure emozioni. Ma la caratteristica tipica dei romanzi della scrittrice, mostrare la poca dignità dei sentimenti e dei comportamenti umani, trova questa volta nella grammatica filmica di Amini una perfetta realizzazione: “i suoi personaggi sono bugiardi, truffatori, ubriachi – dice il regista – diventano irrazionalmente gelosi, paranoici e spesso stupidi. Eppure questi difetti sono ciò che li rendono così dolorosamente umani e facilmente riconoscibili”. E’ il lato oscuro della natura umana. Chester e Rydal sono due artisti della truffa che agiscono diversamente: il primo ha derubato ricchi investitori in America vendendogli azioni di un pozzo petrolifero inesistente, avendo accumulato molto denaro deve affrontare le conseguenze della sue azioni quando un investigatore privato lo rintraccia, Rydal agisce su un campo più piccolo, sfruttando la sua conoscenza della lingua greca per approfittare di ingenui turisti che si affidano a lui come guida.    
Su questa intricata dinamica tra personaggi, la suggestiva bellezza delle location, (il Partenone di Atene, Creta, il Gran Bazar di Istanbul) è valorizzata dalla mano esperta del direttore della fotografia danese Marcel Zyskind (che compie la magia di far assomigliare il digitale alla vecchia pellicola usando speciali lenti anamorfiche), mentre le musiche di Alberto Iglesias (già collaboratore di Almodovar) conferiscono il giusto sapore di classicità al film.
Attento a dettagli, sfumature, equilibri, Amini costruisce un crescendo di tensione aiutato da cast di livello: un Viggo Mortensen misterioso uomo d’affari americano, prepotente e debole allo stesso tempo, una Kirsten Dunst, raffinata e sensuale moglie frustrata, un Oscar Isaac intenso nel suo ritratto di giovane imbroglione con più di qualche sofferenza repressa.
I due volti di gennaio è un film che prende e avviluppa, un’opera che tiene lo spettatore in balia della cara vecchia suspense, con un finale catartico e ricco di simboli dove il cerchio si chiude proprio come in una tragedia greca.
All’inizio del film il giovane Rydal non a caso parla degli scherzi crudeli che gli dei giocano agli uomini. Nella vicenda portata sullo schermo da Amini, c’è proprio “l’idea che sta alla base della tragedia greca dove gli uomini competono contro gli dei e perdono, ma nella sconfitta sono eroici. La loro umanità è la loro vittoria”.
La scena qui è solo per gli umani, sconfitti si, ma da eroi.

Elena Bartoni 
 

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