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Il Ciclone – Recensione

I primi film sono sempre i migliori, forse per la loro semplicità, forse per la spontaneità di uno stile nuovo e senza grosse pretese, che si rivela gradito e piacevole. È il caso di Leonardo Pieraccioni che, dopo il positivo esordio alla regia con I Laureati (1995), ottiene con Il Ciclone un altro grande successo di incassi e critica durante la stagione cinematografica 1996-97.

Il ciclone che si abbatte su un borgo della provincia toscana non è altro che un gruppo di passionali ballerine di flamenco che, rimaste a piedi, cercano ospitalità presso la famiglia Quarini, dove Levante (Leonardo Pieraccioni) vive con il padre Osvaldo (Sergio Forconi), il fratello Libero (Massimo Ceccherini) e la sorella Selvaggia (Barbara Enrichi). Le straniere, dalle forme prosperose e i movimenti sensuali, sconvolgono la routine della famiglia e del paesino, mandando in visibilio gli uomini e suscitando le gelosie delle donne locali.

Pieraccioni scrive, dirige e interpreta un’allegra commedia, a cui fanno da sfondo le soleggiate campagne dell’amata Toscana (casa del regista). Tramite l’utilizzo di tutti i garbati colori della parlata fiorentina, la comicità che emerge è pulita e mai volgare. Forse è proprio questo quello che il grande pubblico ha apprezzato: una pellicola delicata e leggera che, tuttavia, non scade nella facile scurrilità (tipica di molte commedie degli ultimi anni) e nell’eccessiva superficialità.
Seppur il film punta a far divertire e non approfondisce personaggi e contenuti, è in ogni caso provvisto di tematiche che gli danno spessore e suscitano il sorriso. Esilarante l’interpretazione di Massimo Ceccherini nei panni di Libero, il fratello ossessionato dal misticismo e dagli insuccessi con le donne. Famosa la scena in cui Ceccherini, tentato dalla presenza delle ballerine in casa, durante la notte, mangia caffelatte e biscotti steso in una bara e dice a Levante: “Tappami, tappami, si tu me vò bbene”, esprimendo l’istintivo desiderio di “conquistare” una delle belle ospiti e, allo stesso tempo, tutte le sue insicurezze in materia di donne. 
Non stona con gli anni novanta (forse perché affrontato con compostezza), tanto meno con i tempi che corrono, il personaggio di Barbara Enrichi nel ruolo di Selvaggia, la sorella lesbica, attratta dalla ballerina Penelope (Natalia Estrada). L’ interpretazione vale all’attrice il David di Donatello nel 1997 come Migliore Attrice non Protagonista.
Esuberante la presenza di Tosca D’Aquino nei panni dell’erborista Carlina (da sempre innamorata di Levante), protagonista della celebre e divertente scena del ristorante nella quale, ubriaca, simula amplessi e suscita grande vergogna a Levante. A completare il cast l’accompagnatore delle ballerine, interpretato da Alessandro Haber, e la voce fuori campo di Mario Monicelli, quasi a simboleggiare un passaggio di testimone della commedia italiana al novello Pieraccioni.

Meritatamente vincitore nel 1997 di tre David di Donatello (David Scuola, David Speciale e Miglior Attrice non Protagonista a Barbara Enrichi), di un Ciak d’oro (Miglior film) e del Nastro d’Argento (Miglior Attore a Leonardo Pieraccioni e Miglior Sceneggiatura), seppur con ritmi un po’ lenti, ancora oggi Il Ciclone è un film da vedere perché valorizza la commedia italiana più semplice e divertente e perché esempio di sana e pulita comicità.
 

Elisa Cuozzo

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