Il Grande Gatsby – Recensione
Fare la giornalista ha i suoi lati positivi. Ti ritrovi, a volte, a soffermarti su alcuni di essi,e indubbiamente la visione de Il Grande Gatsby rientra nella categoria. Si è, nel corso della propria vita, testimoni involontari di fatti straordinari, spesso, discutendo con alcuni colleghi, immaginavamo cosa sarebbe stato poter esserci stati con il nostro lavoro ai tempi della Dolce Vita, essere chiamati a valutare un film come Il Gattopardo, I Vitelloni, Amarcord, C’era una volta in America. Saremmo stati obiettivi oppure no? Ci saremmo un giorno pentiti dei nostri giudizi? La versione de Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann pone al suo spettatore molti e più quesiti. Porta con se quella meravigliosa fascinazione che da la sensazione di appartenenza, insomma che se ne dica, siamo testimoni, ora, di uno di quei film attesi, kolossal, importante remake, tratto da un libro epico. Un giorno chi di noi potrà dire di esserci stato quando presentarono Avatar, The Artist, Il Grande Gatsby sentirà nelle sue parole la svolta epocale di un’idea di cinema che cambia e rimane impressa. Appurato e metabolizzato ciò, quello che il regista di Moulin Rouge ha voluto proporre, è una versione estesa del libro di F. S. Fitzgerald, fedele come stile e narrazione al geniale scrittore, la pellicola parte lenta, a tratti disconnessa, le famose feste di cui tutti parlavano a New York nella residenza del mistico Sig. Gatsby, sono feste sfarzose, esagerate, ricche, che non riescono per la formula adattata a coinvolgere del tutto l’occhio di chi guarda. Appaiono incongruenti, non coese con il periodo storico, e non credo a mio avviso, che ciò sia riconducibile alla scelta musicale, anzi lo stile pop, e alcuni fra i cantanti che hanno preso parte alla colonna sonora, fanno un lavoro eccezionale, fra tutti Florence e The Machine e gli XX. Eppure Gatsby è li, dietro l’angolo, una mano, un’inquadratura di un anello, un sorriso senza volto, si cela ai margini di un film che piano piano ti trascina in una delle più belle e drammatiche storie d’amore che cinema ed editoria abbiamo mai visto. L’entrata in scena di Di Caprio è da grande e meraviglioso attore quale è, portando con se le sfaccettature di un personaggio complicato e complesso, eppure terribilmente puro ed ingenuo, fa suo lo sguardo tormentato di Jay, l’imbarazzo comico e adorabile nel primo incontro con Daisy, la rabbia di rivalsa e la strafottenza di classe della scelta delle sue parole. Jay è un uomo che ama, purtroppo la sua idea d’amore è ferma alla visione di un tempo che non tornerà, neanche con tutti i suoi sforzi e i suoi soldi, neanche con tutto lo champagne di Francia, neanche sforzandosi riuscirà più ad afferrare quella luce verde che osserva dal pontile. La Daisy che conosceva, se ne andata, ha lasciato posto ad una donna frivola, civetta, non curante e sprezzante, bella come una stella del colore del ghiaccio, potente e consapevole della sua arma. Carey Mulligan svolge il suo compito da brava attrice, ma è quella che convince meno, sarà che la scelta del cast risulta essere così perfetta, con interpretazioni e somiglianze ai personaggi del libro, in questo Buz ha davvero fatto un lavoro ottimo. Così come Nick, (Tobey Maguire), viene trascinato per mano a tenere segreti ed essere complice di scorribande e epiche tragiche conseguenze, lo spettatore si lascia coinvolgere da un film che prende un ritmo dalla metà in poi per chiudere la sua catarsi, visiva, fotografica e recitativa nel finale. Da bandire i paragoni con la versione del ’74 che fu di Jack Clayton, non fanno bene al cinema e sono molto poco utili. Riflettiamo alla fine de Il Grande Gatsy sull’idea ancora che tutti noi abbiamo del passato, di quelle acque che a volte ci “risospingono” verso di esso e ci fanno barcamenare nel presente. Presentato ieri come film d’apertura fuori concorso al Festival di Cannes, ha ricevuto un’accoglienza fredda, d’altronde, come dichiarato dal regista: “anche Fitzgerald quando uscì il libro fu definito un clown”, ma poi a tutti è stato dato il tempo per redimersi.
Sonia Serafini