Il Quinto Potere – Recensione
Da anni, da quando nel 2010 scoppiò la bomba WikiLeaks, tutti attendevamo prima o poi l’arrivo nelle sale di un film interamente dedicato al suo fondatore e alle sue idee, ed è così che il regista Bill Condon (The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 1 e Parte 2) inaspettatamente è riuscito a trarre dai libri del co-fondatore Daniel Domscheit-Berg e dal giornalista del Guardian David Leigh una storia appassionante, machiavellica e coinvolgente.
Nel 2007 Julian Assange (Benedict Cumberbatch), gestore e fondatore di WikiLeaks, incontra Daniel Domscheit-Berg (Daniel Brühl) e nel giro di tre anni porterà questa piattaforma di trasmissione di documenti riservati alla notorietà mondiale, pubblicando una serie di segreti clamorosi, tra cui i resoconti riguardanti la guerra in Afghanistan del governo americano nel 2010, evento clamoroso che ha portato alla distruzione stessa dell’organizzazione interna del sito, rendendolo il nemico numero uno dei principali governi mondiali.
Quinto potere: migliaia di documenti elettronici, l’informazione fatta via web, segreti e codici rivelati in pochissimi secondi e recepibili contemporaneamente da milioni e milioni di persone nel mondo. Questo è il futuro, questo è il proseguo della pellicola Quarto potere (1941) di Orson Welles.
Il gossip intorno alla figura del magnate della stampa Kane, incapace di amare se non “solo alle sue condizioni”, in Il Quinto Potere si trasformano in informazioni di grande valore, importanti a tal punto da distruggere grandi potenze bancarie e rovesciare interi governi mondiali. Il tutto incanalato nel web, nel cyberspazio, un mondo complesso che diventa simbolo stesso dell’innovazione di oggi, un mondo che usato per scopi divulgativi può diventare strumento di ribellione per il nuovo millennio.
Ciò che si respira maggiormente nel film è infatti la passione e la rabbia che lo stesso Assange mette nel comunicare quelle informazioni scottanti; non usa nessun filtro, le dispensa allo spettatore senza aver lo scopo di fargli un lavaggio del cervello o convincerlo di qualcosa (come facevano i cinegiornali), si attiene a mettere dei fatti appurati davanti agli occhi di tutti.
Costruito su un continuo gioco di verità/falsità, è il concetto di identità a soffrirne di più. Anonymous sono tutte quelle persone che mandano i leaks, che smascherano ma allo stesso tempo sono nascoste dietro un unico volto, non quello di V per Vendetta, ma di Assange, portavoce dei popoli. Essere lui però, non è facile, questo è il messaggio finale che scaturisce dal film: prima di arrivare al livello più profondo, ai sentimenti e alle verità di Julian, dobbiamo avere tutte le informazioni necessarie.
Indipendentemente dalle verità, che come ci insegna lo stesso Julian/Benedict, sta al pubblico e alle persone scovare, è impossibile non riuscire a farsi trasportare dal ritmo del film, che grazie ad una continua escalation dei dialoghi, ad una colonna sonora portante, ritmica ed accattivante, ad una coppia di attori bravissimi e complementari e ad una regia a matrioska, il film è in grado di equilibrare la sfera privata con la pubblica, coinvolgendo lo spettatore fino a spiazzarlo completamente.
Alice Bianco