Il Sentiero – Recensione
Se è vero che due indizi fanno una prova, allora possiamo tranquillamente affermare che la bosniaca Jasmila Zbanic è tra i registi europei più interessanti e talentuosi della sua generazione.
Al suo secondo film, la Zbanic conferma infatti di avere una sensibilità fuori dal comune nel toccare corde profonde e nel confrontarsi con temi complessi con uno stile sobrio e mai patetico che consente, anche allo spettatore culturalmente e geograficamente distante da Sarajevo, di lasciarsi coinvolgere da questioni peculiari di quella regione. E ciò avviene in quanto la Zbanic le affronta non ponendole al centro della narrazione, bensì indirettamente attraverso il racconto di un sentimento universale come solo può esserlo l’amore, sia esso tra madre e figlia (Il Segreto di Esma), o tra uomo e donna (Il Sentiero, appunto). Ma soprattutto, dimostrando una sorprendente abilità nell’immedesimarsi nei protagonisti delle sue storie, un’empatia in virtù della quale anche le sequenze fatte solo di piccoli gesti quotidiani prendono anima e forza.
Il Sentiero si svolge a Sarajevo, capitale multietnica e multireligiosa della Bosnia-Erzegovina. Lei, Luna, lavora come hostess, mentre il suo fidanzato, Amar, è controllore di volo, ma perde il posto a causa della sua dipendenza dall’alcool. A rendere ancor più complicato il loro rapporto è la difficoltà ad avere figli, che costringe i due a continue visite in ospedale. Grazie all’incontro casuale con Bahrija, vecchio amico conosciuto in guerra, Amar trova lavoro come insegnante di informatica presso un campo wahabita fuori Sarajevo, un’esperienza che però lo conduce ad avvicinarsi alla dottrina islamica ortodossa. Il repentino cambiamento di Amar mette in crisi un rapporto sopravvissuto fino a quel momento a tutte le difficoltà, obbligando Luna a prendere scelte dolorose.
Questa la trama, che, oltre a consentire alla regista di compiere una riflessione non banale sul diverso modo di affrontare le complicazioni quotidiane e sulla necessità di adattarsi all’altro all’interno di una relazione, rappresenta anche il pretesto per trattare un tema assai spinoso e delicato come quello dell’integralismo religioso e dei suoi pericoli, nonché lo spunto per documentare la contrapposizione, in essere a Sarajevo e poco nota in occidente, tra i musulmani moderati (la stragrande maggioranza), ed i musulmani ortodossi wahabiti. Ecco dunque che a colpire non è tanto il resoconto della quotidianità dei protagonisti, quanto il fascino dell’ambientazione (la città di Sarajevo, i suoi vicoli e le sue moschee), e la descrizione dei diversi stili di vita dei musulmani bosniaci (c’è chi beve e va in discoteca, e chi invece si rifiuta persino di stringere la mano ad una donna).
Film bello e importante, a tratti persino sorprendente, ricco di sequenze affascinanti e significative (l’illustrazione quasi documentaristica della vita all’interno del campo wahabita sul Lago Jablanica; il duro confronto a tavola tra la mamma di Luna, islamica moderata, e Amar, ormai totalmente convertitosi alla causa wahabita; l’ingresso di Luna in una moschea di periferia). Da sottolineare infine l’ottima prova degli attori, a partire dalla protagonista, la bravissima Zrinka Cvitesic.
Mirko Medini