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Il Tocco del Peccato – Recensione

Vincitore acclamato per la Migliore Sceneggiatura al recente Festival del Cinema di Cannes, censurato nella madrepatria, Il tocco del peccato (A Touch of Sin) è un film forte, profondo, che riflette sul potere del capitalismo e attraverso i suoi protagonisti esprime la rabbia e la voglia di cambiamento di un’intera nazione.

Cina. Quattro storie di vita. Un minatore esasperato si rivolta contro i corrotti del suo villaggio. Un operaio di ritorno a casa per il Capodanno scopre che una pistola è l’unica cosa in grado di dargli emozione. Una gentile receptionist di un centro benessere si ribella all’aggressione di un ricco cliente. Un giovane operaio passa da un lavoro all’altro cercando di migliorare la propria vita.

Jia Zhang-ke, conosciuto ai più per la vittoria conquistata nel 2006 alla 63esima Mostra del Cinema di Venezia, con Still Life, ha deciso di portare sullo schermo quattro storie di gente comune, cinesi costretti a subire, ma arrivati all’esasperazione, che sentono il bisogno di manifestare la propria rabbia e quindi sono intenzionati a ribellarsi.

Il primo è un operaio, che ritornato a casa per festeggiare il Capodanno, rapinato da dei malviventi non esita un istante e spara con la sua pistola. Lo fa senza scrupoli di coscienza, convinto che aprire il fuoco sia l’unico modo per risolvere la situazione.

L’ambientazione in cui è collocata la storia del minatore che si ribella alla corruzione che imperversa nel suo villaggio, è la regione cinese dello Shanxi, terra d’origine del regista. Il clima rurale e l’aria di desolazione che si respira, contribuiscono ad accrescere il senso di aridità e povertà d’animo insita nel personaggio stesso.

La disparità delle classi viene maggiormente descritta e simboleggiata invece, dal personaggio femminile, una bravissima Zhao Tao che receptionist in un centro benessere (bordello di lusso) all’ennesima aggressione da parte di un danaroso cliente, si ribella in modo inaudito. L’ultimo personaggio è un operaio che si ribella alla propria esistenza, decide di dare una svolta alla propria vita cercando di riconquistare la sua dignità.

Il film affronta temi come la corruzione, il capitalismo, il disagio sociale e l’ingiustizia e lo fa in modo crudo, con due ore di pellicola che non si sentono, ma che mettendo in primo piano la violenza e la ribellione fanno riflettere e sottolineano la disparità che ormai dilaga anche in Cina: boom economico città ed imprenditori ricchissimi, dall’altra, villaggi dispersi nella campagna cinese e una popolazione che ancora vive in povertà e subisce.

Zhang-ke ancora una volta ha voluto stupire, portando sullo schermo una pellicola coraggiosa, spiazzante, che riflette la realtà più recondita del proprio Paese e che si può annoverare tra le migliori dell’anno che si sta per concludere.

Alice Bianco

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