Il Venditore di Medicine – Recensione
Portando alla luce la corruzione delle industrie farmaceutiche italiane, Antonio Morabito, ci racconta una storia dal punto di vista non solo dei soliti buoni, ma anche da quello dei cattivi, da chi è veramente corrotto, con la controindicazione che alcuni punti risultino un po’ troppo lenti.
Bruno (Claudio Santamaria) è un informatore medico di 40anni che lavora per la “Zafer” una casa farmaceutica che cerca, illegalmente, di convincere i medici a prescrivere un certo tipo di medicinali attraverso vari sistemi di corruzione. Nel momento in cui la società entra in crisi, Bruno, per rimanere attaccato al suo posto di lavoro, porta al limite le pratiche di corruzione.
“Il venditore di medicine” è un thriller teso, con alcuni punti che funzionano meno, che racconta un mondo che non era ancora stato trattato nel cinema italiano, procedendo però per due linee parallele che poi si incontrano.
Morabito, seppur attraverso un film di finzione, dà alla sua pellicola uno stampo che si avvicina di più al mondo del documentario che prende vita proprio nel momento in cui Bruno indossa la sua tenuta da lavoro ed impugna la sua valigetta. Dall’altro lato però poi emerge l’aspetto di cinema di finzione attraverso la vita privata del protagonista. L’uomo vive la preoccupazione della malattia sulla propria pelle attraverso un amico e la moglie che lo mettono davanti alle contraddizioni della sua esistenza.
Proprio questa parte, però, risulta il punto debole della pellicola, allontanando lo spettatore da quella più interessante e che trasformerebbe “Il venditore di medicine” in un ottimo thriller di denuncia, competitivo con il cinema d’ oltreoceano. La sfera privata, per quanto possa servire per approfondire il personaggio di Bruno, toglie infatti tensione e ritmo ad una sceneggiatura che ha molto da dire e far riflettere.
Il panorama che il regista fa emergere, comunque, è di vivo interesse: un mondo, composto da medici e primari senza morale e corrotti, che è nascosto alla vista del comune cittadino e che però esiste.
Il background documentarista di Morabito è ben evidente e ben riesce a sposarsi con l’idea di questa pellicola che è ottima nella prima parte, ma che finisce un po’ per perdersi nella seconda, regalando comunque un film da tenere d’occhio e meritevole di visione.
Sara Prian