In Darkness – Recensione
Leopold Socha, è un ispettore fognario nella Leopoli occupata del ’43, ruba nelle case dei ricchi e non ha scrupoli, con quelle degli ebrei, costretti nel ghetto e poi falciati dalla follia omicida dei nazisti. Avvicinato da un vecchio compagno di cella, l’ufficiale ucraino Bortnik, gli viene promessa una lauta ricompensa se troverà e denuncerà alla Gestapo gli ebrei sfuggiti ai rastrellamenti.
In un buio lungo centoquaranta minuti Leopold Socha è la luce che rischiara, il protagonista di una vicenda eccezionale (e reale) connessa alle scelte di chi si sente parte della Storia avvertendo la necessità di rigettarne gli orrori. Privilegiando la prospettiva sull’individuo, la Holland realizza un racconto esistenziale e una battaglia tenace contro la cecità, descrivendo le tappe e i passaggi di una presa di coscienza individuale dentro un tempo segnato da sentimenti di insicurezza e da uno stato di pericolo permanente.
In Darkness, trasposizione del romanzo “Nelle fogne di Lvov” di Robert Marshall, è dedicato a Marek Edelman, vice comandante della rivolta del ghetto di Varsavia e leader del Bund, il movimento operaio ebraico che lottava per l’autonomia culturale. Oscurato e incarnato, il film osserva l’umanità brancolare in un nero profondo dove le energie migliori sono destinate a lottare contro la fame e la miseria. Quella materiale e quella spirituale.
Il film, discreto ma crudo, poetico ma reale e concreto, s’imparenta ancor più strettamente al suo collega spielberghiano con una citazione quasi letterale: nel rastrellamento del ghetto, la fotografia si desatura sempre di più e in una scola cromatica che tende sempre di più ai grigi l’unica nota di colore è la giacca blu di una donna ebrea in fuga, legame esplicito e dichiarato all’illustre e celebre “cappottino rosso” di Schindler’s List denotando così con questo “gancio” metacinematografico un chiaro parallelo Schindler-Leopold.
L’uso dei colori è importante in Holland, la nota di colore giallo di un indumento abbandonato tra le rovine del ghetto sgomberato e, sul finale, il palloncino giallo che levita libero in aria, delineando una circolarità e una ricchezza di significato dietro una metafora leggera e di non pura retorica. Lo spettatore però verrà colpito soprattutto da una Leopoli lugubre e abitata da corpi che sembrano senza vita, quasi un quadro di Munch o un filmato espressionista; solo la solidarietà e la fraternizzazione può consentire di trascendere l’indifferenza e l’inconsapevolezza.
Con In Darkness il cinema torna a occuparsi della Shoah e della drammatica esperienza dei sopravvissuti, testimoni che si sono misurati con il male assoluto e la cui memoria riempie un vuoto privato e collettivo.
Eleonora Taddei