Inside Out – Recensione
“Le emozioni sono tutto quello che abbiamo”: proprio in questa fulminante battuta pronunciata dall’anziano regista Harvey Keitel nel film di Sorrentino Youth è racchiuso il fulcro narrativo del capolavoro d’animazione firmato Pixar, Inside Out, che ha entusiasmato la critica all’ultimo Festival di Cannes e che arriva ora anche in Italia reduce dagli incassi stellari registrati negli States nel mese di giugno.
Le emozioni che si trovano nella mente di una bambina di undici anni sono le protagoniste assolute del film. Ecco la storia.
La piccola Riley cresce guidata dalle sue emozioni (Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura) che, da un tecnologico quartier generale la guidano, la consigliano la spronano, rallegrandola, rattristandola, impaurendola, facendola arrabbiare o disgustare. Ma quando Riley è costretta a trasferirsi con i suoi genitori dalla campagna Minnesota a una grigia San Francisco, rimane traumatizzata diventando triste e apatica. Una serie di difficoltà pratiche, come la perdita del camion del trasloco con tutti gli effetti personali della famiglia e il primo giorno in una nuova scuola, mettono in pericolo la serenità della ragazzina. Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto sono smarriti di fronte alle nuove sfide della realtà. Per di più, un incidente manda Gioia e Tristezza, dalla sala di controllo giù in un luogo remoto del cervello in cui vengono archiviati i ricordi. Gli altri colleghi alla console di comando non sanno come gestire le due emozioni principali e mettono a rischio certezze, affetti, memorie, legami della piccola Riley. Sperdute nei territori infiniti del cervello umano, Gioia e Tristezza si trovano a doversi aiutare l’un l’altra per tornare alla base, riprendere il loro ruolo e aiutare Riley a superare una fase difficile della sua vita.
Il luogo più bello e insieme più misterioso che c’è, il nostro io interiore e le sue emozioni.
Un film geniale, un’ambientazione ricca di fascino, cinque esseri umanoidi dai colori brillanti (l’occhio sul merchandise è sempre ultra-vigile) e una storia che corre su due binari paralleli: due mondi, due realtà, due differenti tonalità cromatiche.
Il nostro io interiore esce finalmente fuori e si trova a dover fare i conti con una fase delicata della vita come quella del passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
L’idea di Inside Out è venuta al regista Pete Docter (coadiuvato da Ronnie Del Carmen in cabina di regia) quando ha notato i cambiamenti di umore della figlia, allora undicenne, che, da solare e spiritosa, era divenuta solitaria e silenziosa. Con il prezioso aiuto di Dacher Keltner, professore di Psicologia a Berkeley, e di Paul Ekman, psicologo pioniere nella ricerca sulle relazioni tra emozioni e espressioni facciali, il team creativo della Pixar ha immaginato e realizzato un universo sconfinato popolato di personaggi, partendo dall’assunto scientifico secondo cui le emozioni sono la vera struttura e la sostanza di ogni interazione dell’essere umano.
E via con un mondo di meraviglie: la memoria a lungo termine (scaffali pieni di sfere colorate), le isole dei tratti caratteriali, le idee astratte, i castelli di carte, gli spazzini della memoria, il treno dei pensieri, le scale buie che portano alle paure più recondite e infine il mondo onirico che, omaggio degli omaggi, viene rappresentato come un grande studio hollywoodiano.
Ma le emozioni sono già da diversi anni la ricetta vincente di Casa Pixar (e degli incassi stellari di molti successi sbanca-botteghino). I giocattoli di Toy Story (sono trascorsi già vent’anni da quel capolavoro che rivoluzionò il cinema d’animazione), i pesci di Alla ricerca di Nemo, gli insetti di A Bug’s Life, le automobili di Cars, i topi di Ratatouille: sono tutte creature dotate di emozioni. Insomma, a queste mancava ormai solo un volto e l’onore del primo piano sulla scena.
Al di là dei meriti puramente tecnici, Inside Out è un film che riesce nell’impresa di rendere concreto ciò che è astratto. Un viaggio in cui si attraversano territori immensi come la coscienza, il subconscio, la memoria, il pensiero astratto, perfino i sogni.
Ed è proprio alla fine del viaggio, quando il quintetto delle emozioni si ricompone, che viene fuori una disarmante verità, qualcosa di universalmente valido per ogni essere umano: la Gioia ha bisogno anche della Tristezza. Alla fine è infatti proprio Gioia a capire l’importanza di Tristezza, cioè la capacità di approfondire e arricchire le esperienze della vita in un modo che lei non conosce. E così Gioia si fa da parte per lasciare i comandi della console a Tristezza: perché qualsiasi genitore sa che il proprio figlio dovrà soffrire, passare attraverso un dolore che appartiene solo a lui e da cui dovrà uscire da solo con le sue forze. Perché la Tristezza è necessaria alla costruzione della personalità, perché non ci può essere Gioia senza Tristezza, e perché l’amore comporta talvolta anche la perdita: così si diventa adulti e ci si lascia alle spalle la fanciullezza.
Nella strada percorsa, alcuni ricordi restano indelebili, altri vengono risucchiati da un’aspirapolvere che deve eliminare qualcosa per fare spazio al nuovo, e sì, si deve salutare un amico immaginario tutto rosa che piange caramelle. E qui la Pixar ha ideato uno dei suoi personaggi più geniali, Bing Bong, in parte elefante, in parte gatto, in parte delfino, di colore rosa, dolce come zucchero filato: il simpatico amico fungerà da guida per Gioia e Tristezza dentro la fabbrica dei sogni della piccola protagonista, rotolando infine giù nel buio dell’oblio per far si che la ragazzina diventi grande.
Vengono i brividi durante la visione del film, perché si sta raccontando, attraverso immagini animate e solo in apparenza destinate a un pubblico di minori, la sostanza di ognuno di noi, la durezza e insieme la bellezza di una vita che comincia davvero.
Inside Out è un film ‘emozionante’ nel pieno senso della parola, un’opera che spiazza e incanta. Perché sono loro, le emozioni, a definire davvero ciò che siamo. E raccontarlo non è stato mai così bello.
Elena Bartoni