Io sto con la sposa – Recensione
Realtà e finzione sono gli elementi che nel docu-film Io sto con la sposa, di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry, raccontano in un viaggio che si fa parabola della libertà, l’avventura di un gruppo di immigrati che in maniera irriverente, cercheranno di conquistare il proprio angolo di paradiso.
Cinque sono i protagonisti di questa avventura, in fuga dalla guerra che imperversa nel loro Paese, la Palestina e la Siria. Sono sbarcati a Lampedusa e sono decisi a raggiungere la Svezia, terra che dal settembre 2013 concede il diritto di residenza a tutti i siriani che domandano asilo. Ad aiutarli un regista, un giornalista e un poeta siriano-palestinese (i tre registi), che suggeriscono di raggiungere la meta organizzando un matrimonio. Disattendono alle leggi europee faranno di tutto per arrivare in Svezia.
Presentato ed acclamato quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia, la pellicola del terzetto Augugliaro-Del Grande-Al Nassiry, è semplicemente l’epopea reale di uomini e donne che hanno dovuto interpretare un ruolo e mettersi degli abiti… da cerimonia nuziale, per potersi garantire un futuro.
Siriani e palestinesi, in particolare questi ultimi, da sempre considerati popolo eletto da Dio, un po’ come narra la Bibbia, si ritrovano costretti, prima ad abbandonare la propria terra natia e poi a compiere un viaggio, diretti alla ‘’terra promessa’’: la Svezia, l’unico Paese europeo che li possa accogliere legalmente.
In questo viaggio, scandito dall’uso dell’ italiano così come dell’arabo, i protagonisti si raccontano, rivelando allo spettatore chi è, come vive e cosa prova, un rifugiato. Uno che scappa dal proprio Paese a causa delle ribellioni, delle dittature, con un’unica scelta: seguire l’istinto ed andarsene, per sperare in qualcosa di migliore, spesso abbandonando anche i propri cari e con un’incertezza che la fa da padrona.
Particolare, è stata la scelta dei registi, di non mostrare le autorità italiane, francesi o tedesche, preoccupandosi solamente di concentrare le attenzioni sulla sposa e il suo corteo, durante il loro cammino lungo 3mila chilometri, impreziosito da un tono quasi divertente, magico e tzigano.
Proprio questo tono particolare, rende il docu-film appetibile al pubblico, lo fa riflettere, mascherando l’anima politica dell’operazione, riuscendo in egual modo a sottolineare e sollevare temi, dibattiti e considerazioni, ma facendo vedere per la prima volta come si sentono i veri protagonisti, i rifugiati che come tutti anelano la felicità e chiedono solo di poter vivere. In questo modo, mettendosi nei loro panni, sarà più facile anche per lo spettatore, giudicare.
Alice Bianco