Jackie – Recensione – Venezia 73
Moglie, madre, vedova, icona di stile e Madre d’America, Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis, dopo un adattamento tv con protagonista Katie Holmes, ritorna a vivere anche sul grande schermo con un’immensa Natalie Portman, dimostrando la bravura del regista cileno di “riportare in vita” non solo personaggi del passato, bensì emozioni.
Con Jackie si torna indietro agli Stati Uniti degli anni Sessanta, includendo anche filmati originari del 1963, che confondono realtà e finzione, sulle tracce di una donna che è diventata un’icona. Il lungometraggio si distende lungo un periodo di quattro giorni, a partire da poco prima dell’assassinio del marito e presidente americano John F. Kennedy, lungo i primi dolorosi e concitati giorni che seguirono alla tragedia.
Pablo Larrain, già abituato a biopic con No – I giorni dell’arcobaleno (2012) e Neruda (2016), inoltra lo spettatore nell’intimo di una storia, un avvenimento noto a tutti, ma è il dietro le quinte, l’intimo di coloro che hanno vissuto in pole position l’assassinio del presidente Kennedy, che viene portato a galla, in particolare la moglie, accanto a lui nel momento passato alla Storia.
Jackie, più che un biopic quindi, diventa il ritratto approfondito della First Lady più ricordata ed amata di sempre. Una donna elegante, coraggiosa, con una grande forza d’animo. Grazie ai gesti contenuti e fini, la voce sussurrante, l’eleganza posta anche nel tenere una sigaretta tra le labbra, Jacqueline conquista lo spettatore.
I primi e primissimi piani che sottolineano i suoi stati d’animo, la sua forza, così come il dolore per la perdita, la volontà di andare avanti, sopportare per riuscire a consolare i suoi due figli, dimostrano tutta la bravura di Natalie Portman.
L’intero film è costruito come una conversazione-confessione tra lei ed un giornalista/ scrittore, ed è proprio attraverso campi e controcampi, che conosciamo la Jackie post dolore, quando riflette sulla persona del Presidente e marito, Jack F. Kennedy, raccontando quei quattro giorni, dall’uccisione ai funerali, fino all’abbandono della Casa Bianca.
“Non è stata una favola”, più e più volte Jackie lo ripete citando uno dei brani tratti dal musical Camelot. La disperazione, il desiderio addirittura di aver pensato di fare da scudo a quell’uomo che amava e che per lei era perfetto, nonostante numerosi difetti e scappatelle, va al di sopra di tutto però, dimostrando il potere morale di una donna che oltre l’essere moglie e madre di due bambini, è quasi un’eroina, diventata tale in quei quattro giorni.
Larrain ha scelto l’attrice giusta, che oltre che somigliante, più di tutte, drammaticamente e potentemente poteva immortalare questa icona americana, che mai come con questo film finisce per essere comprensibile ed ammirabile, da parte degli americani, ma soprattutto dei non.
Alice Bianco