John Carter – Recensione
Dal racconto ‘Sotto le lune di Marte’ (1912) di Edgar Rice Borroughs, creatore di Tarzan. Negli Stati Uniti, durante la guerra di secessione, l’ex capitano John Carter entra in contatto con un misterioso amuleto ed è trasportato all’istante sul pianeta Marte. Dovrà lottare per la sopravvivenza della popolazione locale, trovando se stesso e poi l’amore. La Disney ha impiegato due anni per partorire questo costoso e rutilante kolossal, dove la fantascienza viene contaminata con il genere “spada e magia” e con il cinema di supereroi. Molto di ciò che vediamo può suonare già visto (un riferimento per tutti: Avatar) e in effetti così deve essere. Dobbiamo infatti considerare che il testo originale fu, se non l’iniziatore, un’apripista di successo che ebbe influenza decisiva su tantissima narrativa fantasy degli anni successivi e oltre. L’obiettivo di “John Carter” è quello di rispolverare uno storico prototipo attraverso i potenti mezzi filmici del XXI Secolo, allo scopo di rendere omaggio a cento anni di immaginario su carta e su pellicola. Andrew Stanton, pluripremiato regista e scrittore (“Alla ricerca di Nemo”) si sforza perciò di riprodurre l’epica purezza e le genuine passioni sprigionate dall’albo di Flash Gordon recuperato nella soffitta del nonno. Qui conta lo scatto avventuroso, l’ampio respiro dell’azione, l’ironia, ed una messinscena spettacolare che ha totale priorità su qualsiasi psicologismo pur non soffocando il disegno dei personaggi. Nonostante una durata forse eccessiva, ed un ritmo dal fiato corto in più di un’occasione, il risultato è spesso accattivante grazie alle belle invenzioni (non solo coreografiche) unite ad un fascino vecchio stile da cui vale la pena lasciarsi catturare. Nel ruolo del duro ed impavido protagonista troviamo Taylor Kitsch, poco espressivo ma non insipido, con felini tratti somatici che possono ricordare il giovane Thomas Milian pre-commissario Giraldi. Quanto al 3D, ormai maledirlo è un sacrosanto diritto dello spettatore almeno quanto il chiedersi se non sia ora di limitare il ricorso a questa cosiddetta tecnologia. Per essere buoni diremo che i colori tenui della fotografia riescono ad attutire il fastidio. Da vedere (in 2D) armati di scarse pretese, per meglio accoglierne pregi e difetti.