Jupiter – Il destino dell’Universo – Recensione
Figlia di immigrati russi, ed orfana di un papà appassionato di astronomia, la giovane Jupiter Jones cresce assieme alla madre ed alla famiglia di lei, portando avanti una modesta routine quotidiana. Tutto cambia quando scopre, in maniera assai rocambolesca, di discendere da una bramosa stirpe di feudatari intergalattici. Tre fratelli malvagi le contenderanno nientemeno che la proprietà della Terra stessa, a costo di ucciderla. Lecito restare perplessi e stupefatti davanti alla nuova fatica dei fratelli Wachowski, colma di difetti eppure degna d’attenzione. I due papà di Matrix mandano allo sbaraglio la propria sete di virtuosismo grafico e libertà espressiva, con tutte le conseguenze nel bene e nel male. Da qui l’abbandonarsi al gusto per gli scontri balistici ad alta quota (prorompente dinamismo nelle coreografie delle battaglie) ed un feticismo per le scenografie magniloquenti veicolate da un 3D funzionale all’ennesima potenza. Uno spettacolo sotto il segno dell’immagine, nel quale la regia occupa un ruolo assai più determinante rispetto alla sceneggiatura. All’ iperbole sul piano estetico si contrappone infatti una narrazione curiosamente e, forse, consapevolmente frammentaria, sia nel montaggio sia nella scansione delle vicende. Talvolta affrettato, altre semplicistico se non grossolano, il film è inoltre diseguale nel tentativo di conciliare il sottofondo concettuale e filosofico con il versante ludico/pirotecnico. Lo salva però un aspetto di prima importanza: l’ironia latente e sorniona, a metà tra il prendersi sul serio e l’ammiccare al pubblico per dare ad intendere l’esatto opposto. In tal senso il paragone col Flash Gordon (1980) di Mike Hodges non è del tutto azzardato. C’è si una componente di humor manifesto, anche piuttosto riuscita, ma subordinata alla parodia implicita. Nel cast, oltre a una Mila Kunis di appropriata estraneità al contesto (una delle attrici maggiormente associabili ad una figura femminile “alla mano” ed anti-aristocratica) risaltano il carisma di Sean Bean e il Balem Abrasax interpretato da Eddie Redmayne. Quest’ultimo disegna un cattivo languido e divorato da rabbia interiore, senza cadere nella macchietta. Non a caso è distinto dal resto dei suoi pari, caratterizzati da un kitsch caricaturale che rimanda alla rappresentazione delle classi alte in Hunger Games. Purtroppo nell’ultima mezz’ora la corda è tirata all’estremo, l’accumularsi di stimoli visivi diventa monotonia e infine noia. Divertente nel complesso, sebbene il giocare con le potenzialità del linguaggio filmico vada a scapito del messaggio etico di fondo. Non il miglior risultato nella carriera dei Wachowski, né una macchia indelebile nel loro curriculum artistico.