La Bella e la Bestia – Recensione
Favolosa scenografia (tutta costruita in CGI), sgargianti, eleganti e pregiati gli abiti indossati da Belle e il principe, ambientazioni da fiaba e un tripudio di effetti speciali, questo è La bella e la bestia di Christophe Gans, un omaggio e una rivisitazione senza troppi fronzoli narrativi, ad una favola che si tramanda da secoli.
Dopo aver perso tutte le sue fortune in mare, un mercante (André Dussollier) è costretto a ritirarsi in campagna con i suoi sei figli. La più giovane di questi, è Belle (Léa Seydoux). Ritrovate le ricchezze disperse in mare, il padre decide di andare in città e comprare alle figlie tutte le cose necessarie per essere reinserite nella società, Belle vuole solamente una rosa. Durante il viaggio però, in mezzo al bosco, scopre un castello, lì ci abita un principe trasformatosi in Bestia (Vincent Cassel), che lo condanna a morte dopo per aver rubato una rosa. Belle deciderà di offrire la propria vita, in cambio di quella del genitore.
Per portare sul grande schermo una delle fiabe più famose di sempre, il regista francese ha deciso di attingere direttamente dall’opera di Madame Villeneuve, pubblicata nel 1756, andando così sul sicuro. Poche infatti sono le ‘’licenze poetiche’’ prese, dando solamente più spazio a personaggi come il padre di Belle o caratterizzando le sorelle, ma nulla di più.
L’idea che facilmente scaturisce è invece, che Gans abbia mescolato all’interno di questa favola, elementi provenienti da altre: le due sorelle Astrid e Anne assomigliano a Gertrude e Genoveffa, quelle dispotiche di Cenerentola (e alla Seydoux vestita com’è all’inizio, manca solo la cenere) ed il castello fatato tempestato di edera e rosa, ricorda molto quello della Bella Addormentata.
Le ambientazioni prima ottocentesche e poi rinascimentali, sono la vera gemma del film, che stupisce maggiormente per la struttura scenografica, gli effetti speciali (ben fatta la ricostruzione delle statue giganti) e per la cura nei dettagli visivi, dall’arredamento ai costumi.
Anche la regia, caratterizzata da inquadrature soggettive, primi e primissimi piani, sottolinea la volontà del regista di puntare tutto sul lato estetico dell’opera, che da un punto di vista narrativo e recitativo, non regala niente di eccelso, bensì semplice e pura normalità.
Allo spettatore non rimane che indugiare quindi, come la macchina da presa, sui dettagli, lasciandosi trasportare ed incantare dai paesaggi favolistici, patinati ed irreali.
Alice Bianco