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La Chambre Bleue (The Blue Room) – Recensione

Sesto lungometraggio alla regia per uno degli attori più bravi e conosciuti di Francia: Mathieu Amalric, che nel suo film si ritrova anche come protagonista. Il regista porta al Festival di Cannes, purtroppo fuori concorso, un noir a tinte… blu, dove niente è come sembra.

Julien (Mathieu Amalric) è un uomo sposato, che però ha una relazione con un’altra donna, Esther (Stéphanie Cléau). I due si conoscono già da diversi anni, sono stati compagni di scuola, ma ad un certo punto, le loro vite hanno preso strade differenti. Ora, entrambi sposati e con famiglia alle spalle, s’incontrano otto volte in undici mesi nella “camera blu” dell’Hotel des Voyageurs. Ma i loro incontri porteranno ad un finale inaspettato.

Adattato da un romanzo del 1963 di Georges Simenon, il creatore del commissario Maigret, La Chambre Bleue, il film di Amalric è trasportato ai giorni nostri, ed è nient’altro che una storia d’amore passionale e folle, condita da tinte noir.

Le scene erotiche, che in sé sono anche molto romantiche, con cui apre la pellicola, inoltrano lo spettatore, fin da subito, nel microcosmo dei due protagonisti, che attraverso il miscuglio di scene del presente e passato, dipanano il ventaglio di emozioni e sensazioni da loro provate.

Oltre ad esistere in questo piccolo spazio confinato, i due analizzano il mondo che sta fuori, quello che vede i due amanti divisi e soprattutto la moglie di lui soffrirne. A rincorrersi, nel film, infatti, sono le emozioni, dalla paura al desiderio, dal ricordo alla follia, dal romanticismo alla passionalità.

Con quest’opera, Amalric sembra si sia ispirato al cinema oltreoceano, mescolandolo con quello dei grandi registi francesi: il genere noir è quello tipico del cinema hollywoodiano, i tempi narrativi invece, tipici di Alain Resnais.

La struttura narrativa è proprio quella tipica di Simenon e dei suoi romanzi, con tinte misteriose, nelle quali il protagonista si confonde; a confondersi, sospinto nel turbine di emozioni è anche lo spettatore, che cambierà continuamente opinione e punto di vista.

Buona prova di regia, così come brillanti le interpretazioni dei due protagonisti ed anche quella di Lea Drucker (moglie di Julien), l’unica incapace di dimostrare la sua sofferenza interiore.

Superbo il lavoro di camera, da parte di Christophe Beaucarne, che propendendo per uno stile americano acuisce l’azione, dando ancor più l’idea di passionalità e follia. Ottima anche la propensione per i primi piani, che scavano e fanno percepire ancor di più le emozioni e sensazioni della coppia di amanti.

Alice Bianco

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