La cinquième saison – Recensione
Concorso – 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
I registi belgi Peter Brosens e Jessica Woodworth presentano in Concorso alla 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il capitolo conclusivo di una trilogia iniziata con Khadak in Mongolia e Altiplano in Perù, chiudendo il cerchio doverosamente (per loro stessa ammissione) nel luogo dove vivono. In La cinquième saison, viene posto davanti allo spettatore uno scenario terrificante e decisamente attuale, dove la natura prende il sopravvento di fronte all’arroganza dell’uomo, negandogli ogni possibilità produttiva e generando il collasso delle comunità.
Su un villaggio nel cuore delle Ardenne si abbatte una misteriosa calamità: non arriva la primavera. Il ciclo della natura si è capovolto creando una lenta ma inesorabile implosione della malcapitata collettività. INVERNO – In cui Alice, figlia di un contadino, e Thomas, un adolescente solitario, sono innamorati. In cui l’annuale falò che celebra la fine dell’inverno non riesce ad accendersi. PRIMAVERA – In cui le api scompaiono, i semi non germogliano, le mucche si rifiutano di produrre latte. In cui si ha la prima vittima. ESTATE – In cui un venditore ambulante di fiori porta al suo passaggio una gioia effimera. In cui abbondano gli insetti, sale il panico, esplode la violenza. AUTUNNO – In cui ogni cortesia è svanita.
Il film è un’opera affascinate, complessa, nella quale lo stile registico, più vicino alle arti visive, ci permette di ragionare sulle conseguenze del nostro sconsiderato sfruttamento della Terra e sulla battaglia di quest’ultima per riprendersi la sua libertà, negando all’uomo la possibilità di vivere grazie ai suoi doni. Il ricercato linguaggio cinematografico, qui fortemente simbolico e metaforico, è prima di tutto un godimento dal punto di vista visivo, dove la plasticità delle sequenze e di alcune inquadrature in particolare, fanno eco alla pittura ed a video artisti come Lech Majewski. La bellezza e la cura delle immagini, così suggestive e passionali, sono un aspetto preponderante del film ma non solo; vi è infatti una profonda “ammissione” di colpevolezza nei confronti della Madre Terra costretta, in maniera brutale, a ribellarsi soffocando l’uomo, come se fosse un insetto parassita.
Serena Guidoni