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La Città Ideale – Recensione

A Siena manca solo il mare, per essere la città ideale.

Questo pensa l’architetto ecologista palermitano Michele Grassadonia  (Luigi Lo Cascio) che ha adottato un nuovo stile di vita: da un anno non utilizza l’acqua corrente e l’energia elettrica. Una notte, mentre la pioggia cade battente, l’uomo si trova ad affrontare degli strani avvenimenti.

Esordio interessante alla regia di Luigi Lo Cascio che riesce a mettere in equilibrio più generi differenti; iniziando la pellicola come una commedia per poi trasformarla in un grottesco thriller.

Il personaggio di Michele, come un moderno Leonardo Da Vinci, si circonda di invenzioni per continuare a vivere lo stile di vita che si è proposto e che strizza l’occhio al green power e a tutti gli enti ecologici della nostra Italia. Al tempo stesso, però, Lo Cascio si concentra sul parallelismo del distico Siena-Palermo, inserendo, inevitabilmente, l’autobiografia di uomo immigrato dal sud: Siena è una città ricca di possibilità, ma sospettosa, mentre Palermo ci viene presentata come arcaica.

Sarebbe facile utilizzare l’aggettivo “kafkiano” per descrivere quello che accade al protagonista quando è costretto a venire contro ai propri ideali ed utilizzare la macchina. Da questo momento, infatti, entra in un vortice da incubo mentale, ma che ci viene presentato come reale. Un film che vive di “Se” e che si inerpica nell’ambiguità dell’esistenza di un uomo il quale, dopo aver passato un turning point, si trova ad affrontare se stesso, con una facciata di convinzioni che internamente stanno crollando una a una. Dopo quella notte di pioggia si trova ad affrontare un se stesso nascosto, un posto pullulato da demoni interiori con il quale Michele (ma il senso collettivo del racconto è molto forte) è costretto ad affrontare.

Siena, la città ideale, non diventa più tale perché è lo specchio dei suoi incubi sopiti, quelli che aveva deciso di lasciare nella sua città natale e che qui vengono risvegliati. Siena non è più la luce, ma diventa ombra esattamente come la sua Palermo.
Questa oscurità è la stessa che pervade l’intera pellicola e il protagonista che porta lo spettatore ad un climax di crescente disagio, in un film straniante e strano.

Sara Prian

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