La femme du cinquième – Recensione
Fino a pochi mesi fa, Tom Ricks ( Ethan Hawke) era professore in un’ università americana e aveva una vita tranquilla con sua moglie e sua figlia.
Oggi, Tom sopravvive in una camera sporca e triste nella periferia di Parigi, non ha piu nessun contatto con la sua famiglia, se non appena atterrato nella citta francese, quando cerca disperatamente di recuperare un rapporto con loro. Ma sua moglie non è intenzionata a vederlo ne a fargli vedere la bambina e, appena Tom si avvicina, chiama subito la polizia. Da quel momento in poi, lo scrittore è costretto a vedere la sua famiglia solo da lontano, appostato dietro ad un albero o dietro ad un muro e si accontenta di campare in un albergo gestito da loschi personaggi, dividendo il piano ed il bagno con un’umanità disperata e corrotta. Per campare e pagare l’affitto della stanza, sarà costretto a mettere da parte le sue velleità di scrittore e ripiegare su di un modesto lavoro come portiere di notte in un sottoscala claustrofobico e senza vie d ‘uscita.
Mentre crede di toccare il fondo, la passione fa irruzione nella sua vita: si chiama Margite (Kristin Scott Thomas), è poliglotta, colta, sensuale e molto enigmatica. Il loro incontro avviene ad una serata letteraria frequentata dallo scrittore. Subito la donna lo avvicina e mentre parlano delle loro vite e delle passioni che li accomunano (anche il marito defunto di Margite era uno scrittore), Tom sente di provare qualcosa per questa donna affascinante quanto misteriosa.
Tom non potrà più fare fare domande sul suo lavoro , il suo passato e la sua vita e la potrà vedere soltanto due volte a settimana, nel suo appartamento del quinto quartiere.
Tom , stregato, accetta ; comincia tra i due una relazione clandestina, forte e vincolante ma pian piano succedono strane coincidenze attorno a lui. Il regista Pawel Pawlikoski utilizza il plot narrativo dello scritore Douglas Kennedy che nel 2007 esplora per la prima volta le frontiere del soprannaturale si avventura in spazi onirici coperti di nevrosi e schizofrenie, con il romanzo “Margite”. Il regista ci mette di fronte alla caduta di un uomo che sa di essere malato ma tenta comunque di preservare un rapporto con la figlia dalla sensibilita particolarmente delicata. Un continuo sovrapporsi di realtà e sogno, di inquietudini e angosce, di passioni e frustrazioni, in una Parigi stranamente silenziosa e cupa. Unica nota chiara e luminosa nella vita di Tom è la musa polacca, la donna del boss dell’albergo, che incanta con la sua ingenuità e la sua dolcezza le notti di Tom e suona come un omaggio alle tradizioni e ai ricordi di infanzia del regista polacco. Il protagonista instaura anche con questa donna una relazione, che , per motivi che saranno svelati alla fine, ha il sapore dell’autenticita e della purezza, in un gioco contrapposto tra “donna angelo” e “femme fatale”. Il film tenta innanzitutto disperatamente di elevarsi al di sopra o quantomeno di mettersi al passo con la filmografia tradizionale sui doppi, sui rapporti con i morti e con il mondo dell’aldilà, sul tema della personalità scissa e contrastante, ma non convince. La trama vuole poi essere credibile fino all’ultimo per sortire il solito effetto sorpresa o meglio “guarda ora con i miei occhi e vedi come tornano tutti i pezzi che non avevi capito” , ma non vuole alla fine ottenere neanche questo. Cade nella scena finale nella banalità della luce “aliena” che acceca lo spettatore e il protagonista e si avventa su i numerosi interrogativi che avvolgono solo spettatori poco attenti e disposti a farsi incantare ancora dalla banalità del male.
Elena Pompei