La fuga di Martha – Recensione
Presentato al Sundance Film Festival 2011 (dove si è aggiudicato il Premio alla Miglior Regia) e mostrato, sempre nello stesso anno, nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes (dove ha vinto il Prix de la Jeuness), La fuga di Martha (Martha Marcy May Marlene è il titolo originale), ottimo esordio alla regia del filmmaker Sean Durkin, è un film che nella sua “semplicità” d’argomento (non propriamente originale) e intuizioni narrative (il racconto è una continua alternanza fra passato e presente), ha in sé una profonda umiltà ed onestà intellettuale di chi si cimenta nell’opera prima, senza voler necessariamente strafare. A metà strada fra due generi in qualche modo speculari, il thriller, molto ben calibrato nelle sequenze di suspense e tensione emotiva, e il dramma psicologico, un po’ meno avvincente, il film vede per la prima volta nello schermo una giovanissima Elizabeth Olsen (sorella minore delle più note gemelle Mary-Kate e Ashley Olsen), intensa e struggente nel ruolo della protagonista, e un trittico di attori come John Hawkes (Un gelido inverno, 2010), Sarah Paulson (Capodanno a New York, 2011) e Hugh Dancy (Hysteria, 2011), ognuno capace di una performance degna della propria carriera, ma anche votato a lavorare in sottrazione, in una interpretazione totalmente al servizio della storia e del film e non dell’autocompiacimento. Martha è una giovane donna che un giorno decide di scappare dalla comunità nella quale ha vissuto negli ultimi anni: una fattoria situata nei pressi dei boschi dell’Upstate dello Stato di New York dove, sotto la guida di un fantomatico guru e padre putativo di nome Patrick, dei giovani ragazzi vivono in simbiosi fra di loro e la natura che li circonda. In preda ad una grave crisi di identità dopo avere lasciato i confini di questa setta rurale, la ragazza chiede asilo alla sorella più grande, con la quale aveva perso ogni contatto, e che vive insieme al suo nuovo marito in una lussuosa casa estiva nel Connecticut. Perché è fuggita? Qual’é il motivo che le impedisce di superare un profondo senso di colpa, che la attanaglia ed arresta il suo cammino verso una vita “normale”? In un continuo rincorrersi dei diversi piani temporali, lungo i quali lentamente scopriamo il prima e, di conseguenza, comprendiamo con più chiarezza il dopo, il film riesce nell’intento di non rivelare tutto e subito, facendo, invece, crescere tensione ed angoscia di pari passo con lo stato d’animo della protagonista, desiderosa di liberarsi delle proprie zavorre ma contemporaneamente spinta sul fondo di quel lago immacolato dove tenta di rifugiarsi. Inquietudine, preoccupazione ed ansia sono gli elementi che non smettono mai di bussare nella mente di Martha ed anche, e di questo bisogna renderne merito al regista, in quella dello spettatore.
Serena Guidoni