La Grande Bellezza – Recensione
“Il viaggio che ci è dato è interamente immaginato.” Inizia così, con una citazione di Louis-Ferdinand Celine, il sesto lungometraggio di Paolo Sorrentino, La Grande Bellezza, riconfermandosi il regista italiano capace ancora di far brillare il nostro cinema e far tremare la concorrenza spietata della 66° edizione del Festival di Cannes.
Il rimando a Celine non è casuale, infatti, La Grande Bellezza è il racconto di un viaggio negli anfratti di una Roma sospesa tra la realtà e l’immaginazione, attraverso la voce e lo sguardo di un Virgilio contemporaneo, Jep Gambardella (Toni Servillo) un flaneur che, perduta l’ispirazione letteraria, si trascina nella mondanità della città eterna.
Per la seconda volta nella storia del cinema, un emigrato a Roma, riesce straordinariamente nell’impresa di comprendere le sfumature di una città contraddittoria, catino e capolavoro al contempo.
Sono trascorsi cinquantatré anni da quando, un altro ‘straniero’, Fellini, seppe rappresentare la sua idea di Roma, e oggi Sorrentino ne ripete l’opera, cogliendone le sue intime evoluzioni. “Una chimera, Roma, quando provenite dai miniappartamenti della periferia. Ci ha le sue leggi non scritte, ma così insulse, che fai fatica a credere che possano essere vere veramente”, (dal romanzo Hanno tutti Ragione).
Seducente e surreale, pericolosa e annoiata al contempo, Roma è dunque la protagonista indiscussa del nuovo film di Sorrentino, ed è qui che Jep, dedito alla frivolezze della ricca società romana, ha perso l’ispirazione letteraria che lo elevava dalla informe massa. “Roma ti fa perdere un sacco di tempo”.
Oggi, a sessantacinque anni, si limita ad uscire la sera, a frequentare i luoghi della Roma ‘bene’, intrattenendosi in discussioni vacue ed infinite con il suo entourage di uomini e donne della borghesia. “Roma immutabile copione di se stessa all’infinito. E’ così che resiste brillantemente la storia millenaria di questa città, rimescola continuamente le carte per rinunciare a vedere una volta e per tutte l’asfissia del suo involucro bellissimo”.
Il sublime e la sacralità della città antica è mescolato con la volgarità di una società che ha totalmente smarrito se stessa, volgendo all’inevitabile crisi culturale. Roma quindi, simbolo del declino dell’Occidente, memore di un passato grandioso e apparentemente inconsapevole della devastazione dell’oggi. Tutto è sospinto dalla vuotezza, dall’inutilità delle conversazioni, dalla voracità del Dio denaro.
Il mondo cinico e disincantato della borghesia annoiata però non è messo sotto accusa ma solo descritto straordinariamente bene da un uomo che romano non è ma che ci si è ritrovato a vivere, come tanti altri, e che sa per questo, carpirne le sue facciate nascoste. Roma segreta, Roma immutabile, Roma che ti fa sentire sempre fuori luogo, e straniero in terra straniera.
Non ci si può che complimentare con un regista che con coraggio ha intrapreso questo itinerario, corredato dai virtuosismi stilistici ai quali ci ha abituato fin da Le Conseguenze dell’amore, riuscendo a mescolare la lirica con la contingenza. La colonna sonora non è da meno: i canti gregoriani accompagnano le lunghe passeggiate di Jep nella Roma sacrale, e le canzoni remixate da Bob Sinclair invece, fanno da testimone ai party infiniti della sua combriccola.
Gli attori, eccezionalmente capaci di interpretare tutto questo, sono parte del film stesso. Splendida, ovviamente l’interpretazione di Toni Servillo, perché parliamo ormai di un fatto ovvio. Servillo è l’Attore del cinema italiano, colui che, con la sua singolare mimica facciale, la sua voce infallibile, entra perfettamente nel personaggio di un uomo che vive la sua vita come una eterna messa in scena. Molto più umani e verosimili, i due romani del film, Sabrina Ferilli e Carlo Verdone. Integrati e al contempo estranei ad una città che li desidera e aggredisce.
Da stasera al cinema, ma per sempre nei nostri pensieri, La Grande Bellezza è in definitiva, un film eterno, come la sua protagonista, Roma.
Valentina Calabrese