La Madre – Recensione
Disperato in seguito ad un crack finanziario, un uomo uccide i propri colleghi e la ex-moglie, per poi condurre le sue figliolette in una baita isolata. Lì vuole farla finita, portandole con se. Ma “qualcosa” lo uccide salvando la vita alle due piccole. Cinque anni dopo, ritrovate ancora vive in uno stato semi-animalesco, vengono adottate dallo zio Lucas e dalla sua fidanzata Annabelle. Dovrebbero quindi tornare ad una vita normale, se non fosse per l’incombere di una sinistra entità da loro chiamata “madre”. Chi è? A partire da un loro acclamato corto del 2008, i fratelli Andy e Barbara Muschietti confezionano un dramma sentimentale in salsa horror con lontani echi di Tim Burton. Soprattutto nella prima parte, il buon cinema fa capolino in più di un occasione: suggestivi passaggi d’atmosfera, sospesi fra incanto fiabesco e tensione onirica, riuscite invenzioni di regia, funzionale direzione degli attori con menzione speciale alla spontaneità delle due giovanissime coprotagoniste (la Chastain merita, tra l’altro, più di un occhiata in questo look da maschiaccio). Ben vengano, inoltre, le inaspettate concessioni all’ironia ed alla tenerezza. Non lasciatevi però ingannare dalle immagini dell’accattivante trailer, perché “La madre” non è un film di paura o quantomeno vorrebbe rientrare anzitutto in quel genere senza azzeccarne (quasi) mai una. Spesso la visione di un lungometraggio dichiaratamente tratto da un cortometraggio è inficiata dal sospetto di stare assistendo alla versione allungata ed annacquata di un soggetto pensato, in realtà, per svilupparsi sulla breve durata. E’il caso di questa ambiziosa favola nera, in cui l’elemento macabro e soprannaturale si ripete con ostinazione, perennemente uguale a se stesso, tanto da disinnescare in partenza ogni potenziale sussulto. Anche il leit motiv degli insetti svolazzanti, per restare in tema di horror recenti incentrati su spiriti e bambine, era già stato spremuto al massimo in “The Possession” (2012). Se poi l’intento era quello di spaventare ricorrendo al “vedo/non vedo”, allora bisogna constatare una netta sopravvalutazione delle proprie possibilità da parte degli autori. Si finisce infatti per mostrare troppo e male, a scapito dell’incertezza che si vorrebbe comunicare (persino la sequenza meglio concepita in questo senso, quella della prima apparizione, ha almeno un’inquadratura di troppo). E negli ultimi minuti, quando la fanta-megera dai lunghi capelli balza in primo piano, il film si perde definitivamente per strada sfociando in un finale a dir poco debole. Produce Guillermo Del Toro, la cui collaborazione alla sceneggiatura ha aggiunto ben poco.