La Madre – Recensione
Temi complessi, buoni spunti di rilfessione per l’esordio registico di Angelo Maresca con “La Madre”, adattamento del romanzo breve di Grazia Deledda, che però, nonostante questo, si trasforma in una pellicola troppo leziosa e didascalica, che ci scivola addosso senza creare quel senso di disturbo che la tematica di una madre folle che inibisce la sessualità di un figlio fattosi per questo prete, vorrebbe.
Paolo (Stefano Dionisi) è un giovane prete controllato da una madre, Maddalena (Carmen Maura) sempre presente, possessiva in maniera morbosa del proprio figlio. Quando però nella vita di lui entrerà Agnese (Laura Baldi), Paolo si innamorerà perdutamente mettendo in allerta la madre che farà di tutto per allontanarla da lui.
Amore scandaloso a causa di una barriera sociale che non si può superare, una madre folle che usa ciò come pretesto per mettere bocca sulla vita del figlio lì dove nessun genitore dovrebbe addentrarsi, in un intimità che dovrebbe disturbare, ma che agli occhi dello spettatore risulta, in qualche modo, vuota.
La buona, accattivante e promettente regia, infatti, si scontra con una sceneggiatura lenta e troppo statica che, prendendosi alcune libertà dal romanzo originale, rincorre le vite dei due protagonisti nella loro follia, uguale, ma diversa, portando la storia su un piano differente rispetto a quanto scritto dalla Deledda.
Il rapporto totalizzante tra un uomo e una donna qui diventa ordinario, semplice, di tutti i giorni, non si riempie di quella carica emotiva e destabilizzante che si trovava nel racconto originale e la scelta di ambientare il tutto ai giorni nostri non aiuta Maresca a creare il giusto trasporto nello spettatore.
Alla pellicola manca anche la tensione erotica che invece di essere sottointesa è troppo ostentata. E così le tematica della passione sensuale che si scontra con la fede, il desiderio e l’amore vero e proprio ci vengono mostrati, elencati, davanti ai nostri occhi, in maniera poco partecipata e coinvolgente.
Ma di buono ne La Madre c’è e sta tutto nella grandissima capacità del regista di mettere in scena le sequenze, nel modo in cui muove la telecamera e segue i suoi personaggi: dalla piena carnalità di Agnese e Paolo, fino alla follia parallela di Maddalena. Maresca sa benissimo come sfruttare gli spazi, le luci e le ombre, trasformando le abitazioni in labirinti che rispecchiano la psiche dei protagonisti da una parte (ricordando un po’ quella claustrofobia alla Refn di Solio Dio Perdona e Drive) e spazi ampi e freddi dall’altra.
Il problema principale, come detto, è però quello di non riuscire ad equilibrare la struttura narrativa ad una regia davvero promettente, trasformando il film in una bellissima cornice ma dal contenuto poco sostanzioso.
Sara Prian