La Maschera di Ferro – Recensione
Nella Francia del Seicento il re Luigi XIV è un tiranno viziato e crudele che lascia il suo popolo morire di fame. Il suo unico obiettivo è eliminare i nemici esterni, contro i quali intraprende una politica bellicosa, e i nemici interni, ossia l’ordine dei Gesuiti, vicini al popolo. A tale scopo il sovrano incarica l’ex- moschettiere Aramis di scovare il capo dei Gesuiti e consegnarglielo. La persona in questione è proprio Aramis che, per difendere se stesso e le sorti dell’intero Paese, riunisce i suoi vecchi amici moschettieri (Portos, Athos e D’Artagnan) per sostituire Luigi XIV con il fratello gemello, Filippo, rinchiuso in una prigione con il volto celato da una maschera di ferro. Mentre D’Artagnan, divenuto guardia del corpo fedele al re, decide di non prendere parte al piano in nome del dovere e del giuramento in difesa della corona reale, gli altri moschettieri, pur appesantiti dagli anni, sono pronti ad agire ancora una volta in nome del loro motto “Tutti per uno, uno per tutti”.
Tratto dall’omonimo romanzo di Dumas, il regista Randall Wallace (Braveheart – Cuore impavido) mescola letteratura, storia e leggenda in un adattamento cinematografico caratterizzato da intrighi di corte, profondi rapporti padre-figlio, amicizia, amori segreti e colpi di scena. L’argomento è di per sé vincente. Nella mente del pubblico viene rievocata la gloria dei moschettieri del re di Francia, la cui forza sta nella complicità, lealtà e unità. Ne La Maschera di Ferro forse subentra un tocco di malinconia per gli anni che passano, ma l’ennesima impresa da affrontare insieme riaccende l’animo dei personaggi e i cuori degli spettatori. Significativa la scena in cui i moschettieri affrontano le guardie francesi all’interno della Bastiglia: le truppe francesi, costrette da Luigi XIV, sparano ad occhi chiusi nella speranza di non colpire i modelli ai quali per tanti anni si sono ispirati, e il loro capo D’Artagnan, questa volta dalla parte dei suoi amici moschettieri.
Nonostante in alcuni casi la sceneggiatura rischi di essere piatta e prevedibile, gli attori mantengono alta la tensione narrativa inserita nella cornice di un’ottima ricostruzione di costumi e ambienti.
Pur notando la mancanza dei celebri personaggi cospiratori Richelieu e Milady, il cast è stellare e vario nei caratteri dei protagonisti: John Malkovich è il saggio e ponderato Athos che, dopo aver perso il figlio in guerra, rivede in Filippo una seconda possibilità per poter essere padre; Gérard Depardieu è Portos, il più scanzonato dei moschettieri, dedito ai vizi e alle donne; Jeremy Irons è il religioso Aramis, capo dei Gesuiti; Gabriel Byrne è D’Artagnan, guardia reale fedele al suo re. E poi l’eclettico Leonardo Di Caprio, che nella sua carriera d’attore ha dimostrato di potersi calare in ogni tipo di personaggio senza mai deludere. Sebbene La Maschera di Ferro (1998) segua solo di un anno il grande successo di Titanic (1997), che ha condotto il giovane attore alla fama internazionale, anche in questa nuova pellicola Leonardo Di Caprio convince e dà piena dignità ai duplici personaggi interpretati (il Filippo buono e il Luigi cattivo), mostrando grande grinta soprattutto nei panni del cattivo. Se alla fine degli anni novanta le teenagers si recavano al cinema solo perché innamorate del protagonista di Titanic, oggi quello stesso pubblico, ormai cresciuto, riconosce quanta strada Leonardo Di Caprio abbia fatto discostandosi, sempre con successo, dall’immagine, ormai cristallizzata nella storia del cinema, del bel Jack Dawson.
Tra gli altri attori degni di nota: Anne Parillaud (Nikita), nel ruolo di Anna d’Austria (madre di Luigi e Filippo), e il “Dr. House” Hugh Laurie, nei panni del consigliere del re.
Elisa Cuozzo