La prima luce – recensione
Vincenzo Marra ha scelto di sbarcare alla Mostra del Cinema di Venezia 2015 e sui grandi schermi italiani, con una storia personale che affronta temi come l’essere immigrato in Italia, vivere e costruirsi una famiglia in un Paese diverso da quello d’origine e il sentire una nostalgia straziante per la stessa terra natale.
L’estranea al centro della vicenda è la sudamericana Martina (Daniela Ramirez), sposata con Marco (Riccardo Scamarcio), avvocato barese, assorbito dal suo lavoro e dal loro figlio di sette anni, Mateo (Gianni Pezzolla), tanto da trascurare la moglie: l’unico desiderio di lei è invece tornare nel suo Paese, portando con sé il piccolo. Quando Martina annuncia al marito le sue intenzioni, Marco non la prende sul serio, ma la disperazione rende la moglie determinata a portare a termine il suo scopo.
I rapporti tra le persone, in special modo tra i familiari, sono al centro della vicenda, Marra li analizza, ne sottolinea le differenze, le particolarità e i problemi. Il rapporto di Marco con il figlio è fatto di giochi e tenerezza, mentre quello con la compagna è fatto di silenzi, incomprensioni e lui non sembra accorgersene.
Da qui la decisione della donna di abbandonare il marito e ritornare dalla famiglia d’origine in Cile, dov’è nata. A marcare maggiormente questa divisione, la legge, le liti personali trasportate in tribunale ed un bimbo in mezzo che soffre.
Storia di ordinaria “follia” quella affrontata da Marra, che ha deciso di ambientare quello che doveva essere un toccante racconto di vita quotidiana, in una Bari immersa nella penombra e in un viaggio di ricerca da parte di Marco, per ritrovare suo figlio, ma allo stesso tempo una sorta di analisi introspettiva personale.
Le premesse erano queste, quello che voleva essere la riflessione e il messaggio finale, sono facilmente individuabili, a non convincere però, è la sua riuscita. A rovinare l’atmosfera è innanzitutto la poca chimica tra i protagonisti, Scamarcio di per sé, con lo sguardo e il modo di fare arrogante convince, ma ancora peggio è il cambio di genere che subisce il film nella sua seconda parte.
Il racconto di una storia d’amore drammatica e reale, si trasforma in thriller, accantonando completamente i sentimenti a favore della storia. Le vicende prendano il sopravvento rispetto all’interiorità del film, che già di per sé non dice nulla di nuovo rispetto ad altri precedenti con la medesima tematica e ben più meritevoli.
Un buco nell’acqua, La prima luce è questo, una prova tutt’altro che riuscita per uno come Marra, che proprio a Venezia, nel 2001, aveva vinto il Premio come miglior film alla Settimana Internazionale della Critica.
Alice Bianco