La tenerezza – Recensione
Un sentimento o un gesto. Lo stesso Gianni Amelio ha lasciato sospesa la definizione della ‘tenerezza’, certamente qualcosa di necessario, oggi più che mai, che ci troviamo a vivere un’epoca che ci vede tutti prigionieri di “trappole e inganni”, sono parole del regista.
Toccarsi, prendersi le mani. Un gesto di tenerezza semplice ma necessario su cui si chiude un film che ha in sé di qualcosa di eterno, una dimensione quasi antica o comunque fuori dal tempo, perché restituisce allo spettatore sentimenti come dolcezza, malinconia, struggimento.
La tenerezza è un film malinconico e struggente come il suo protagonista, un avvocato anziano interpretato da uno straordinario Renato Carpentieri, il cui intenso volto è curiosamente assente dalla locandina del film.
Carpentieri interpreta Lorenzo, un ex avvocato che abita in un bel palazzo antico di Napoli e che ora è caduto in disgrazia e per di più è reduce da un infarto. Anche nei rapporti familiari Lorenzo ha collezionato fallimenti, non avendo saputo instaurare un buon rapporto con i due figli. Saverio, il più giovane, non si interessa a lui ed è preso dal nuovo locale che sta aprendo. Elena, la maggiore, invece gli vuole bene e ne soffre. Ma padre e figlia non hanno rapporti, li divide la morte della moglie che Lorenzo, come lui stesso ammette, non amava e tradiva. Lorenzo ha la sola compagnia del nipotino Francesco, figlio di Elena. Un giorno l’anziano avvocato fa la conoscenza casuale di Michela, sua vicina di casa. La donna è sposata con Fabio e i due hanno due bambini. La coppia viene dal nord e ha girato l’Italia a causa del lavoro di lui, ingegnere navale. I due sono belli e simpatici e stringono amicizia con Lorenzo. L’avvocato instaura un rapporto particolare con Michela, che con la sua spontaneità scoglie le sue durezze. In poco tempo Lorenzo diventa uno di famiglia, passa molto tempo con loro e gioca con i bambini. Finché una sera, tornando a casa, l’anziano avvocato trova il palazzo circondato dalla polizia: è accaduto un fatto gravissimo e sconvolgente. Da quel momento la vita di Lorenzo prenderà una strada nuova e inaspettata.
Sarebbe opportuno cominciare dal finale, da quel gesto di tenerezza, da quel semplice toccarsi di due mani. Per un regista come Amelio, per cui niente è casuale, un autore con il “vizio del cinema” (come il titolo di un suo bel libro, un diario pieno di aneddoti, ritratto appassionato della settima arte dall’interno, ideale panorama di alcuni dei film più significativi della storia del cinema), ogni inquadratura è carica di significati. In questo compendio, il regista dedica un piccolo paragrafo a un capolavoro come Ladri di biciclette, soffermandosi sulla scena finale come punto d’arrivo capace di svelare il senso del film. E’ proprio la sequenza della mano del piccolo Bruno che cerca quella del padre a conferire alla pellicola “la sua forza allegorica grandissima”. La stessa scena è richiamata (forse omaggiata) dal regista nella chiusura di questo suo film, dove le mani di un padre afferrano quelle di una figlia, il cui affetto era stato perduto, o forse solo lontano, per troppi anni.
Ecco l’ancora di salvezza, il riparo, il salvagente a cui aggrapparsi per chi sta crollando, preda di un’ansia, di un malessere che lo fa sentire disperatamente solo.
La tenerezza è la risposta, la tenerezza di un gesto semplice, che riscalda il ‘cuore in inverno’ di un protagonista che è in parte alter-ego di un regista da sempre convinto che un film contenga una specie di seconda vita che interpreta ed esalta la prima.
Capace di passare dagli atteggiamenti burberi e ruvidi della prima parte a un progressivo abbandono a un flusso quasi incontrollabile di sentimenti della seconda, Renato Carpentieri è l’anima vera de La tenerezza. Presente quasi in ogni scena, l’attore offre una prova grandiosa, restituendo al suo Lorenzo, avvocato stropicciato da una vita di affetti mancati, una monumentale dignità.
La tenerezza è un film sul ritorno, “la felicità è una casa a cui tornare” è la frase di un poeta arabo citata in una scena cruciale a testimonianza di una grande e semplice verità: la felicità è tornare sui propri passi quando ti sei smarrito, perché la soluzione migliore per ritrovarsi è guardarsi indietro per ritrovare ciò che hai perso. E così il percorso fatto attorno al dolore del protagonista (ma non solo al suo).
Questo film è un viaggio, che solo sulle prime appare il ritratto di un uomo solo capace di diventare esemplare percorso allo scoperta del sé attraverso una città bellissima e struggente come Napoli.
Il quartiere centrale della città partenopea scelto da Amelio per ambientare il film, fatto di palazzi antichi, vicoli, piazze ma anche di ospedali e tribunali, è funzionale alle storie dei personaggi, tutti colti nell’atto di vagare, di percorrere vicoli e corridoi, tutti accomunati dal desiderio di essere compresi ma soprattutto amati, tutti paralizzati dalla paura non solo di non essere amati ma anche di non saper amare nel modo giusto, tutti alla ricerca di un gesto di tenerezza.
Accanto al magnifico Carpentieri, si muovono altri grandi interpreti: Elio Germano che offre il suo volto a un ingegnere del nord che nasconde una sofferenza pronta a esplodere in rabbia repressa (memorabile la scena dello sfogo contro un venditore extracomunitario) e in gesti estremi, Micaela Ramazzotti capace di infondere candore misto a calore umano al personaggio di Michela, Giovanna Mezzogiorno perfetta nel difficile ruolo di Elena, donna dalla facciata dura ma dall’interiorità fragile e tenera.
Ispirato liberamente al romanzo “La tentazione di essere felici” di Lorenzo Marone, rielaborato in fase di sceneggiatura da Alberto Taraglio e dallo stesso Amelio, La tenerezza racconta, attraverso la parabola di un uomo complesso, l’incapacità di amare totalmente e incondizionatamente qualcuno nascosta dietro l’egoismo, la solitudine come dimensione esistenziale, la paura di donarsi e di donare. Per svelare infine il valore unico dei legami affettivi (e non solo di quelli familiari), la loro forza, il loro essere risorsa a cui attingere quando si è toccato il fondo.
Un film sincero, come è raro trovare oggi nel nostro cinema sempre più omologato, un’opera preziosa e autentica, come i sentimenti che racconta.
Elena Bartoni