Las Acacias – Recensione
Vincitore della Camera d’Or (Premio miglior regia opera prima) al Festival di Cannes 2011, Las Acacias del regista Pablo Giorgelli, è un road movie lento, silenzioso, fatto di primi piani, pochissime parole e una bellezza probabilmente un po’ troppo insita in se stessa, che a lungo andare però, inculcano nello spettatore un senso di claustrofobia e nervosismo.
Ruben (Germán de Silva) è un camionista che con il suo mezzo di trasporto da circa 30 anni percorre l’autostrada che va da Asunción del Paraguay a Buenos Aires per consegnare legname derivato dagli alberi di acacia. Un giorno, mettendosi precedentemente d’accordo con il suo capo, decide di dare un passaggio a Jacinta (Hebe Duarte) e alla figlioletta di cinque mesi Anahi, desiderose di trovare fortuna e ricongiungersi con i parenti in Argentina.
Storia semplice, senza tanti fronzoli quella raccontata dallo stesso Giorgelli (assieme a Salvador Roselli). Il silenzio ne fa da padrone e gli sguardi tristi, malinconici e timidi dei due protagonisti sono tutto ciò che va a riempire l’inquadratura, incorniciata da quell’abitacolo che è la cabina del camion.
Lo spazio è il quinto “personaggio” che anima il film, preceduto proprio dal silenzio. Quest’ultimo, assieme alla fisicità dei tre attori, astrattamente contribuisce a riempire l’ambiente di significato, esso infatti è l’elemento che inizialmente sinonimo di imbarazzo e remore, pian piano diventa perno e spunto, mettendo in comunicazione Jacinta e Ruben.
L’acacia del titolo, sebbene all’inizio si veda fisicamente (i taglialegna ne segano i tronchi) e rappresenti il motivo scatenante del viaggio e della conseguente decisione di poter dare un passaggio alla donna, è invece probabile che si riferisca proprio al burbero, timido ed infastidito Ruben. Anahi, grazie ai suoi sorrisi e semplicemente alla sua presenza, è l’input che permetterà all’uomo di sciogliersi e liberarsi dalla sua personale e ruvida corteccia.
Nonostante tutte queste positive premesse e considerando che il film cerchi di trasmettere un senso di serenità e pacatezza, l’unico elemento che riesce a dare tutto ciò, è il sorriso dolce e spontaneo della piccola Anahi. La tensione, il pianto della bambina, il nervosismo del camionista, le troppe inquadrature fisse e a volte proprio il silenzio stesso, dopo circa un’ora causano però, allo spettatore, una terribile voglia che tutto finisca al più presto.
La verità è, che se il film fosse stato girato come un medio o cortometraggio, senza ombra di dubbio sarebbe stato molto più interessante ed intenso. Il significato sarebbe stato lo stesso, ma sicuramente apprezzato di più.
Alice Bianco