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Le due vie del destino – Recensione

Una delle pagine più brutte della seconda guerra mondiale ebbe luogo tra la Tailandia e la Birmania dove decine di migliaia di soldati inglesi e australiani, caduti prigionieri dei giapponesi, vennero costretti a lavorare alla costruzione di un tratto ferroviario mancante nel collegamento tra i due paesi, 415 chilometri che divennero noti come la “Ferrovia della Morte”.
Il celebre film di David Lean Il ponte sul fiume Kwai raccontò in parte la storia della tristemente nota ferrovia con diversi innesti di fantasia (primo fra tutti il fatto che in realtà non esisteva un fiume Kwai) ma mai prima d’ora le vicende dei prigionieri di guerra britannici costretti a vivere sofferenze e torture indicibili erano state raccontate con tale coraggio e amore di verità.
E’ Eric Lomax, un ufficiale britannico fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale e torturato dai giapponesi, a rompere il silenzio pubblicando nel 1996 le sue memorie. Il suo toccante racconto diventa in breve un bestseller. Lomax si è spento a 93 anni nell’ottobre 2012 avendo avuto però la possibilità di vedere il set del film ispirato al suo libro.
Le due vie del destino (in originale The Railway Man) inizia nel 1980 in Inghilterra, quando Eric Lomax, un uomo con la passione dalle locomotive e degli orari ferroviari, incontra proprio su un treno l’affascinate Patti. In breve tempo i due si innamorano e si sposano ma, proprio la prima notte di nozze, Eric è preda di terribili incubi che non ha la forza di raccontare alla moglie. Con un flashback ci spostiamo a Singapore nel 1942, subito dopo la dichiarazione di resa di Churchill ai giapponesi. Migliaia di soldati britannici vengono fatti prigionieri e costretti a lavorare in terribili condizioni alla ferrovia che doveva collegare la Tailandia alla Birmania. Lì, insieme ad alcuni compagni, costruisce in segreto una radio per non far morire la speranza ma, quando questa viene scoperta, Eric viene picchiato, torturato e fatto prigioniero dalla Kempeitai, la polizia segreta giapponese. Sopravvissuto per miracolo, alla fine della guerra, Eric torna a casa ma inizia a essere perseguitato da incubi che hanno per protagonista il suo aguzzino, un giovane ufficiale giapponese. Negli anni Lomax si isola dal mondo. Fino all’incontro con la bella Patti.
Si torna al 1980, quando la donna cerca di scoprire cosa tormenta l’uomo che ama. Con l’aiuto dell’ex compagno di guerra Finlay, Patti scopre che l’ufficiale responsabile delle torture del marito è ancora vivo. La donna spinge Eric a fare i conti una volta per tutte col proprio doloroso passato.
Un uomo, due passioni, una terribile e beffarda ironia della sorte. L’ufficiale inglese Eric Lomax infatti amava fin da bambino la radio e le locomotive. E saranno le sue due grandi passioni, a segnare la sua esperienza di prigioniero di guerra. Proprio la costruzione di una radio clandestina infatti, innesca una folle escalation di violenza e torture per l’ufficiale prigioniero dei giapponesi.
L’alternarsi di due piani temporali, il 1980 e il 1942, fa si che il film segua il filo di progressive rivelazioni su ciò che ha segnato il passato del protagonista, fino alla resa dei conti finale, a quarant’anni di distanza dai sanguinosi eventi. La nota pellicola di David Lean sopra citata, rappresenta un importate punto di riferimento cinematografico per gli eventi narrati, pur essendone piuttosto lontana per toni e registri. Qui si va ben oltre. L’orrore della guerra, le atrocità al limite della sopportazione messa in atto, ma anche la dignità umana, il senso dell’attaccamento a un ruolo che si è chiamati a ricoprire, il valore del perdono, sono tutti temi trattati con grande forza nel film diretto dal regista australiano Jonathan Teplitzky. Soprattutto nelle scene che si svolgono negli anni Quaranta, si raggiungono picchi di grande intensità emotiva. Le sequenze delle torture si fermano al punto in cui si devono fermare, anche se qua e là fa capolino un sottofondo retorico che sfocia in un finale buonista salvato solo dalla classe degli attori. Un Colin Firth particolarmente compreso nel ruolo di Lomax, un personaggio non facile e chiuso nell’eterno dilemma morale sull’opportunità della vendetta, un Hiroyuki Sanada (uno dei più noti attori giapponesi, interprete di pellicole importanti come L’ultimo samurai accanto a Tom Cruise) perfetto nei panni dell’ufficiale Nagase, ruolo solo di contorno per la diva Kidman nei panni della moglie del protagonista la cui presenza è quasi impalpabile.
Un melodramma sospeso tra le esigenze di memoria storica e un buonismo forse eccessivo che si traduce nel classico gesto di mano tesa verso il nemico. Un film riuscito solo in parte che ha dalla sua il grande coraggio di uno strano signore fissato con le stazioni e i treni che ha certamente dovuto scavare in fondo a una parte dolorosa della sua esistenza per redigere le sue memorie. Un’opera non esente da difetti ma che comunque lascia il segno, perché parlare di assurdità della guerra e della follia di certe derive ossessive in nome di un presunto senso dell’onore militarista non è mai fuori moda.

Elena Bartoni
 

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