Le Idi di Marzo – Recensione
C’è un famoso detto romano che recita: “Il più pulito qui ha la rogna”. Ora, la rogna in questione si può paragonare a diversi ambienti e situazioni, ma la politica in special modo si addice perfettamente all’appellativo in questione, con tutti i tranelli, i sotterfugi e gli scheletri che si celano dietro ai retroscena di essa. Le idi di marzo, l’ultimo film del regista, attore, protagonista di tutte le più stravaganti e opinabili pubblicità italiane, e vincitore del rotocalco 2010 (si, grazie Elisabetta), George Clooney, che ha presentato alla 68esima edizione del Festival del Cinema di Venezia, si potrebbe definire una spy-story politically Scorrect. Il film è ambientato nel mondo politico statunitense in un prossimo futuro, durante le primarie in Ohio per la presidenza del Partito Democratico. Racconta la vicenda di un giovane e idealista (Ryan Gosling) guru della comunicazione che lavora per un candidato alla presidenza, il governatore Mike Morris (interpretato da Clooney), e che si trova suo malgrado pericolosamente coinvolto negli inganni e nella corruzione che lo circonda. Dopo gli innumerevoli film che hanno affrontato lo scenario politico di diversi paesi, volgendo a veri capolavori o veri cliché, Clooney ci sorprende con un’incantevole pellicola, magistralmente interpretata da un cast stellare. La storia volge su un binario lineare, (concedetemi il termine), sino alla prima ora di proiezione, successivamente il meccanismo si attiva e tutta la storia si evolve e cambia ritmo, dai dialoghi, alle scene, la musica, gli scontri fra i protagonisti e l’intreccio narrativo che culmina in un escalation di colpe, errori fatali e mosse strategiche per salvare le apparenze. Perché in politica si sa, quello che conta è come appari. Dietro una celata, neanche troppo, visione critica ad Obama e al suo operato, Le idi di marzo ci racconta i retroscena del mondo della politica, di coloro che tutti i giorni amministrano le nostre sorti, e il nostro futuro, rendendoli umani e vittime delle tentazioni come chiunque altro. Ci racconta il disincanto, il cinismo, l’adattarsi alle situazioni che cambiano e come imparare in fretta a fare il gioco sporco. Il tutto il caro nostrano George, lo fa relegandosi per se un ruolo del tutto marginale, volutamente fatto, per restare nell’ombra a tirare le fila di una macchina da presa che ondeggia sicura da Ryan Gosling, a Philip Seymour Hoffman, a Marisa Tomei, Jeffrey Wright, Max Minghella, la brava Evan Rachel Wood e l’inconfondibile Paul Giamatti. Sembra quasi inutile parlare della bravura del protagonista di questo film, dopo Drive e la sua performance, non c’è che dire è l’anno della consacrazione di Gosling, ma chi continua a stupire per l’incisività che dona al suo personaggio, nonostante il ruolo decisamente marginale, la forza con la quale rimane impressa la sua scena, il suo modo di conferire autorità e personalità è Paul Giamatti, la sua gavetta è durata anche troppo. Chissà come la prenderà il presidente Obama, che proprio in questi giorni è impegnato a portare avanti il suo nuovo slogan per la futura campagna di rielezione “chance is”, l’uscita di un film che racconta tutto il disincanto e la delusione di un uomo ferito come George Clooney, ex sostenitore di Obama, nei confronti di un sistema che non cambia, con delle sterzate sotto forma di battute, buttate qui e li dai suoi protagonisti. Una riflessione, e se la critica dovesse essere fatta sull’operato italiano??….Ne uscirebbe una commedia niente male!!!
Sonia Serafini