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Les Terrasses – Recensione

In un’Algeri apparentemente tranquilla, in una zona del mediterraneo colpita da povertà e guerre, si snodano cinque vicende legate assieme solamente dal montaggio. Questo è  “Es-Stouh (Les Terrasses)” di Merzak Allouache, che esplora dopo “Naturale”” e “Il pentito” la società algerina, popolata da personaggi tutti differenti che ben rispecchiano una civiltà poliedrica.

Cinque terrazze che diventano abitazioni per cinque storie ambientate in altrettanti quartieri di Algeri, scandite dalle cinque preghiere che fanno da sfondo ai problemi e alle vicende che interessano i numerosi protagonisti.

Allouache racconta l’Algeri contemporanea, quella che vive in un’apparente tranquillità e che viene vista dall’alto di queste terrazze che si ergono su un fondale azzurro come il cielo che sconfina nella città. Le terrazze del regista diventano qui simbolo della stessa Algeri, che vivendo una stato di tranquillità, si scosta dalle situazioni al limite vissute nelle zone circostanti.

Terrazze come isole felici o meno, circondate da confini infiniti, dove il blu non si esaurisce e il cielo si fonde con il mare.

Il regista costruisce la pellicola attraverso un climax crescente sia di ritmo che di tensione: la tranquillità iniziale muta gradualmente mano a mano che la notte si avvicina. Come il Boogey man in agguato, trasforma la pace in tortura, la serenità in disperazione.

Se, infatti, inizialmente il tutto, dai paesaggi alla fotografia, accarezzano e avvolgono lo spettatore nella calma, si inizia a percepire fin da subito che con l’oscurità, sia reale che metaforica, qualcosa nelle vite dei protagonisti cambierà in peggio e quello che si finisce per percepire è un’estrema negatività, ma soprattutto rassegnazione.

Perché quella che all’inizio ci viene nascosta e mostrata solo con il calare delle tenebre è il vero volto di una società che si sforza a dimostrarsi come isola felice, ma che nasconde in sé rabbia ed intolleranza. Un viaggio verso un mondo sconosciuto, che viene dietro i sorrisi e le maschere che Algeri indossa con la luce del sole e che, con il buio, toglie per far spazio ai demoni interiori.

Se la città dell’Algeria sembra vivere di una quiete dopo anni di sanguinoso terrorismo, Allouache ci mostra l’altra faccia della medaglia, quella che non viene raccontata e di cui le cinque storie, in maniera diversa, si fanno portavoce. Ma il regista si spinge anche più in là desaturando di spiritualità anche i cinque momenti di preghiera.

Il numero 5 non è preso a caso. Infatti esso può avere sia valore positivo che negativo; un esempio di questo significato lo si può leggere nella figura del pentagramma che se è dritto rappresenta l’uomo, ma se è capovolto finisce per rappresentare le forze del male.
La stessa cosa accade con la pellicola: la prima parte è l’uomo con la sua positività, ma con l’arrivo del buio le cose cambiano e il negativo prende il sopravvento.

“Es-Stouh” è un film che non si percepisce subito, bisogna interiorizzarlo e rifletterci per comprendere i significati più nascosti che Allouache ha voluto trasmettere raccontando storie differenti in uno spazio e in un tempo radicati fortemente nella realtà e che rispecchiano la verità dell’Algeri contemporanea.

Sara Prian

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