Leviathan – Recensione
Mancano ormai poche ore e anche il 67esimo Festival di Cannes giungerà al termine, ma a stupire oggi è Leviathan, film del russo Andrei Zvyaguintsev. Un ritratto corale di una società che ha perso i suoi punti di riferimento e senza più valori, crudo e feroce, Leviathan è una pellicola satirica, uno sguardo particolare alla Russia di oggi.
Kolia (Alexei Serebriakov) vive con la moglie (Elena Lyadova) e il figlio adolescente (Sergey Pokhodaev) in una cittadina sul mare di Barents, nel nord della Russia ed è un meccanico. La casa e l’officina gli vengono però sottratti dal sindaco (Roman Madyanov) della città, corrotto ed interessato economicamente alle sue proprietà; constatata l’impossibilità di agire da solo, Kolia chiede aiuto a Dimitri, vecchio compagno d’armi e ora avvocato di successo a Mosca.
Quelle onde del mare, quella carcassa scheletrica che si vede anche nella locandina ed un paesaggio di per sé crudo e violento, aprono una delle pellicole più sorprendenti in Concorso a Cannes quest’anno.
La prima parte del film è caratterizzata da molti momenti di pura commedia, con molta vodka a fare da cornice, per poi passare ad un registro più serio, caratterizzato da alcune scene drammatiche e devastanti (soprattutto quelle finali).
Leviathan mostra un mondo governato da persone depresse, ubriache, aggressive, l’ombra della corruzione poggia sempre su di loro. Quello che conta in questo mondo sono il potere e il denaro e Kolia si trova al centro di esso.
Religioso e reale, Leviathan cita senza esitazione il Libro di Giobbe, dimostrando attraverso le immagini, come quest’uomo nel giusto debba soffrire e come egli invochi Dio per conoscere il perché di questa sua ingiustizia. La pellicola è una vera e propria parabola del male, inizialmente vede Kolia come l’uno contro tutti, poi egli capisce che deve reagire, lo fa e si trasforma così in una sorta di eroe.
Diretto con estrema maestria, da un regista già conosciuto a Cannes per film come Elena (2011) e Il ritorno (2003), si distingue anche per un montaggio particolare: alterna scene di estrema lentezza, ad altre molto più accelerate, così come scene di estrema intensità drammatica ad altre di suspense.
Carico di significati nascosti e simbolismi, il film è arricchito dalle performance del cast, attori tutti bravissimi, in particolare Roman Madyanov, il sindaco corrotto, a combatterlo il bravo Alexei Serebriakov, che si mette contro il potere di chi lo detiene. Il titolo, come confermato dal regista, è infatti un riferimento al Vecchio Testamento, ma ha in sé anche il senso di impotenza dell’uomo verso un potere centrale.
Potente ed intimidatorio infatti, Leviathan è un ritorno agli antichi splendori del cineasta russo, con un messaggio importante, una messa in scena ben studiata, un’ottima regia e la capacità di rendere la pellicola ambiziosa, un gradino più in alto delle altre.
Alice Bianco