L’Ipnotista – Recensione
Il regista svedese Lassë Hallstrom, dopo un lungo periodo ad Hollywood, ritorna in patria per un film poliziesco/thriller, che esalta il paesaggio imbiancato della penisola ghiacciata e su questo sfondo imbastisce una trama fatta di alti e bassi, con banalità e colpi di scena, mantenendo viva la tensione ed alcune volte, cadendo in soluzioni semplicistiche.
Stoccolma. Una famiglia viene sterminata, padre, madre e figlia più piccola, l’unico a sopravvivere anche se ferito in modo grave è un ragazzo adolescente. Il commissario di polizia dell’unità anticrimine, Joona Linna (Tobias Zilliacus), dietro consiglio di una dottoressa, decide di chiamare l’ipnotista Erik Bark (Mikael Persbrandt), famoso per riuscire a risolvere casi giudiziari scavando nella mente dei testimoni, ipnotizzandoli. Erik non sa però che l’assassino si avvicinerà a lui e alla sua famiglia, rischiando l’incolumità di sua moglie, Simona (Lena Olin) e rapendo suo figlio Benjamin (Oscar Pettersson).
Da sempre siamo abituati a collegare il regista di Chocolat e del più recente Dear John, a drammi mielosi che fanno affezionare alla pellicola solamente le donne e le ragazze, con L’ipnotista, siamo invece davanti ad un thriller succoso, che procede a rilento (come del resto è il ritmo tipico delle pellicole nord europee), non facendo quasi mai cadere l’attenzione, purtroppo, solamente cadendo in alcune scene, soprattutto quelle finali in banalità e futilità.
Due sono le storie che prendono piede all’interno del film e fino alla fine non si capisce, o meglio, si tentenna, cercando di trovare il nesso che le colleghi. Questa è la vera suspense creata dal regista nordico, che assecondando il volere dell’autore del libro da cui è tratto il film, ha cercato di rimanerne fedele.
L’originalità non è proprio il piatto forte della coppia Alexander e Alexandra Ahndoril (che si firma Lars Kepler) e il regista ha solo inserito alcuni accorgimenti tecnici (inquadrature soggettive e semi-soggettive) per poter dare quel tocco in più ad una storia che di per sé ha molto da invidiare ai thriller e polizieschi americani.
É però da riconoscere il clima di tensione che persiste nel film e ha il suo culmine nelle scene finali in mezzo alla neve, quando la coppia Bark cerca di salvare il proprio figlio, dalla stretta dell’assassino. Molto del merito va al terzetto di attori protagonisti, a cominciare da Lena Olin, famosa musa di Ingmar Bergman (Fanny e Alexander), che con naturalezza interpreta degnamente il ruolo di madre e moglie, senza mai cadere nel banale.
Mono espressivo, ma efficace, Mikael Persbrandt, star del film danese In un mondo migliore, con quella sua espressione perennemente assonnata, naturale, ma adatta al suo ruolo di tranquillanti dipendente; Tobias Zilliacus, il commissario (senza Rex) dell’unità anticrimine, mostra coraggio, impegno e serietà, una colonna portante per lo svilupparsi della trama.
Visibile nel film, l’influenza e le tendenze provenienti dalla trilogia di enorme successo, Millennium, ma questa pellicola, peccando di poca originalità e rimanendo sullo scontato, è solamente da considerare come un film guardabile, che riesce a mantenere viva l’attenzione, ma che farà difficoltà a risaltare fra tutti gli altri del genere.
Alice Bianco