Lo Sguardo di Satana – Carrie – Recensione
Cresciuta da una madre patologicamente bigotta, l’adolescente Carrie White è derisa ed umiliata dalle compagne di scuola. Soltanto una di loro, ed una volenterosa insegnante, le dimostrano amicizia e comprensione. La scoperta di poteri telecinetici porterà ad una conclusione tragica. Nel 1976 “Carrie” fu il primo romanzo di Stephen King a generare una pellicola per il grande schermo, un piccolo classico su celluloide con la firma di Brian De Palma. A riportarlo nelle sale è Kimberly Pierce, talentuosa regista già nota per l’acclamato dramma Boys Don’t Cry. Le variazioni? Pochissime se consideriamo la trama nel suo complesso, mentre appaiono più consistenti nei particolari. Diverse le modifiche qui e là, cui vanno sommati gli inevitabili aggiornamenti del caso (utilizzo di cellulari, video postati sul web e, probabilmente, l’incremento di parolacce nei dialoghi). Per quanto generalmente marginali, tali cambiamenti non sono sempre indolori, e nelle battute finali gli appassionati dell’originale anni ’70 potrebbero gridare al sacrilegio. A tratti si eccede nell’aggiungere e nell’indugiare, soffermandosi oltre il dovuto sulle conseguenze di un gesto. Sono i limiti evidenti di una regia per il resto parecchio ispirata, attenta ai particolari eppure mai morbosa, competente nel guidare tanto gli adulti quanto le performance dei giovani attori. Si è indubbiamente persa la struggente e violenta essenzialità del primo Carrie, in favore di un horror adolescenziale piuttosto nella norma per quanto superiore agli standard qualitativi del genere. La stessa protagonista è disegnata come più umana, “terrena”, ben distante dagli scarni connotati e dalla recitazione allucinata con cui la interpretò a suo tempo Sissy Spacek. Troviamo invece i tratti fanciulleschi e spauriti dell’altrettanto efficace Cloe Moretz, brillante di luce propria in una prestazione che tiene conto del prototipo e insieme se ne distacca divenendone persino complementare (lo stesso accadde nel 2010, quando incarnò la vampira Abbie nel remake di “Lasciami entrare”). Una Carrie inquieta più che inquietante, verso la quale proviamo maggiore empatia quando non simpatia. Definire lei e Julianne Moore, qui aberrante figura materna, troppo belle per il ruolo sarebbe ingiusto e miope. Anche per merito della loro classe il film, privo di vera poesia, sa comunque camminare con le proprie gambe ed intrattenere con uno stile abbastanza personale da non risultare derivativo.