Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet – Recensione
Ricordate i colori, le immagini fantastiche che sembravano provenire dall’immaginario dei più piccoli de Il Favoloso mondo di Amelie? Jean-Pierre Jeunet ci regala, di nuovo, qualcosa di simile con Lo Straordinario viaggio di T.S. Spivet, dove il liguaggio semplice, ma intelligente, e la messa in scena avvolgente, ci portano in un mondo che sembra sospeso nello spazio-tempo, ma che invece è fortemente ancorato al presente.
Il piccolo T.S. Spivet (Kyle Catlett) vive con la sua famiglia nel Montana, in un ranch dove la rete del cellulare non arriva e tutto sembra fermo agli anni in cui i vecchi Western spopolavano. T.S. è un bambino curioso, appassionato di scienza, intelligente e creativo, tanto da ricevere una telefonata dalla Smithsonian di Washington che gli comunica di aver vinto un importante riconoscimento per l’invenzione della macchina a moto perpetuo. Il ragazzino deciderà di saltare sul primo treno per fare il suo discorso di ringraziamento, anche se nessuno si aspetta che il vincitore sia un bambino di 10 anni.
Spassoso, avvolgente e ricco di spunti. Questo è il nuovo film di Jeunet che, basandosi su una storia poco realistica, riesce a trasmettere allo spettatore un messaggio forte e in un modo assolutamente eccezionale e quasi privo di sbavature. Sì perché Lo Straordinario viaggio di T.S. Spivet è un racconto indirizzato ai più piccoli, ma che finirà per essere amato anche dai più grandi.
La regia come la fotografia, con tocco quasi magico, si adatta perfettamente all’immaginario fantasioso dei bambini, lasciando prendere vita sullo schermo ai sogni, come nella più toccante e ben riuscita delle favole moderne. Jeunet non nasconde l’uso del CGI e del 3D, anzi, ne fa caposaldo per portare il suo messaggio su una nuova dimensione, più tecnologica rispetto ai libri di fiabe che leggevamo quando eravamo piccoli, ma lo stesso funzionale, tanto da avvicinarsi ai cari e buoni vecchi libri pop up.
Lo Straordinario viaggio di T.S. Spivet ha il suo picco nella forza comunicativa che sceneggiatura e attori riescono a trasmettere, con una prima parte sicuramente più intensa ed una seconda più irreale, ma che comunque non inficia il risultato finale dell’opera, risultando godibile e anche commovente.
Sara Prian