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Logan Lucky – Recensione
Alla dodicesima Festa del Cinema di Roma irrompe Logan Lucky il nuovo ‘colpo grosso’ di Steven Soderbergh. Dopo i successi della serie Ocean’s e dopo essersi cimentato con i generi più disparati (da titoli mainstream che hanno fatto il pieni di premi a piccoli film più sperimentali), il regista torna a divertirsi con le bande criminali, questa volta a dire il vero un po’ da strapazzo, un gruppo di ladri non professionisti che derubano la NASCAR una famosa joint venture statunitense che organizza e gestisce diversi campionati automobilistici.
Questa volta però siamo in un contesto diversissimo: una sorta di ‘lato B’ di Ocean’s Eleven, quasi una rilettura in salsa rurale del colpo grosso ‘alla Ocean’s’. Si perché questa volta siamo dalle parti del West Virginia nel pieno sud degli Stati Uniti, in un mondo fatto di auto veloci e colorate, banditi improvvisati, direttori di carcere rozzi e un po’ ritardati.
La storia è quella di due sfortunati fratelli, Jimmy (Channing Tatum) e Clyde Logan (Adam Driver) che, nel tentativo di risollevare le sfortunate sorti della loro famiglia, decidono di mettere a segno una rapina alla ‘Charlotte Motor Speedway’, durante la leggendaria corsa di auto ‘Coca Cola 600’. Per attuare il colpo, chiedono l’aiuto dell’esperto di esplosioni Joe Bang (Daniel Craig). Ma, proprio quando sembra che il colpo stia per andare in porto, a sparigliare le carte ci si mette un’agente dell’FBI, Sarah Grayson (Hilary Swank), che inizia a ficcare il naso sulla scena del crimine.
No, questa volta non siamo dalle parti degli scintillanti casino d Las Vegas dove operava la patinata banda di Danny Ocean, qui siamo tra la working class del sud degli States. Lo stesso il regista, stuzzicato dall’inevitabile paragone con la saga di Ocean, ha affermato che si tratta di film opposti.
Un antieroe minatore con una difficile storia alle spalle (con una bella figlioletta e un’ex moglie ostile), un fratello ombroso barista con protesi a una mano, una sorella parrucchiera ed esperta di auto, un pazzoide specialista di esplosovi di nome Joe Bang (!), un’energica agente dell’FBI: ecco la colorata e originale banda di bizzarri personaggi che anima questo heist movie incentrato su una rapina orchestrata da una banda di criminali improvvisati durate una gara d’auto.
Vero ‘fil rouge’ di una carriera da artista poliedrico (Soderbergh è anche sceneggiatore e spesso ricopre nei suoi film anche i ruoli di montatore e direttore della fotografia) è la passione del regista per le truffe, una passione che è stata paragonata dal regista al processo di realizzazione di un film. In entrambi i casi per Soderbergh si tratta di mettere insieme un gruppo di persone dove ci sono sempre forze esterne che impediscono di fare un buon lavoro.
La nota più riuscita di questa storia di una truffa in salsa rurale è quel sottile senso di umorismo che pervade storia, ambienti, situazioni. L’ex quarterback con una gamba malridotta divenuto minatore, il fratello che ha perso parte di un braccio in Iraq e soprattutto la sfortuna che perseguita la loro famiglia.
Logan Lucky suona come un inno alla ribellione dei più deboli, un vero grido liberatorio nascosto sotto una patina di leggerezza: i protagonisti del film vogliono un’opportunità, cercano di sopravvivere e di tirare su la testa contro chi li schiaccia. Il film ha il merito di portare all’attenzione del pubblico una fetta di società poco mostrata, soprattutto dalle grandi produzioni statunitensi. E non è un caso che per Logan Lucky non siano stati coinvolti i grandi studios.
Dopo aver annunciato l’addio al cinema (quattro anni fa) ed essersi fatto tentare dalla serialità televisiva (l’ottimo “The Knick”), Soderbergh salta di nuovo con tutto se stesso nel cinema, ritrovando la sua vena migliore e restituendo al pubblico il puro piacere dell’intrattenimento. Venature socio-politiche emergono dal contesto in cui è ambientato Logan Lucky, è la pancia dell’America rurale (quella che l’elezione di Trump ha portato all’attenzione del mondo) dove le folle impazziscono per le corse automobilistiche e le donne sognano per le loro figlie i titoli di reginette di bellezza. Il copione, scritto da Rebecca Blunt (scrittrice cresciuta proprio nel West Virginia), è stato scritto circa tre anni fa e, ha sottolineato il regista, il Paese da allora è profondamente cambiato.
Vero burattinaio di un teatrino fatto di maschere formidabili, Soderberg gioca alla grande con i suoi personaggi e imbastisce una rocambolesca rapina ricca di colpi di scena, si immerge in un’America vera, gioca con i suoi loser percorrendo con sagacia il confine che divide stupidità e furbizia, ingenuità e genialità, rimescolando le carte fino alla sorpresa finale.
Straordinari i suoi attori, da un Channing Tatum ingrassato e convincente nel ruolo del minatore sciancato, a un Adam Driver impassibile e ombroso barista monco, a un sorprendente Daniel Craig con chioma ossigenata, fisico tatuato e espressione da duro galeotto, fino alla rizzante Riley Keough nel ruolo della sorella sciampista.
Un divertissement pieno di sorprese e dalla sostanza ricca e profonda, un’ode alla diversità, una mano tesa verso i perdenti, un grido di ribellione letteralmente ‘esplosivo’.
Elena Bartoni