Love & Secrets – Recensione
A quasi due anni dall’uscita statunitense, arriva nelle sale italiane Love & Secrets, diretto da Andrew Jarecki, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Marcus Hinchey e Marc Smerling, e basata sulla vita dell’imprenditore e sospettato omicida Robert Durst. Conosciuto con l’ottimo documentario del 2003 Capturing the Friedmans (in Italia distribuito con il titolo di Una storia americana), lavoro che gli è valso ben 18 riconoscimenti internazionali tra i quali il Gran Premio della Giuria all’edizione 2003 del Sundance Film Festival e una candidatura ai Premi Oscar, Jarecki si dimostra un autore attento e scrupoloso nella ricostruzioni di fatti realmente accaduti, nel segno di un rispetto della vicenda (come nel caso del suo primo progetto) ma anche di un impeccabile gusto nel romanzare. Ispirato al più famoso caso di una persona scomparsa nella storia di New York, il film è un giallo ambientato fra gli anni Settanta e che si protrae fino ai giorni nostri. Sullo sfondo l’ascesa di una famosissima dinastia di imprenditori immobiliari che nella Grande Mela degli anni Ottanta mise a segno diversi “colpi”, aggiudicandosi una grossa fetta del business della città.
David, giovane rampollo di una importante famiglia di immobiliaristi, incontra e si innamora perdutamente della bellissima Katie, una ragazza modesta di Long Island. Katie sembra essere sin da subito la donna ideale, semplice e senza pretese, se non quella di essere felice, e decide di sposarla. Contravvenendo alle imperanti richieste del padre, uomo avido e senza scrupoli, che lo vorrebbe a capo dell’impresa di famiglia, David decide di fare vita ritirata con sua moglie, ma quella che sembra un’unione perfetta, comincia a vacillare quando il giovane da i primi segni di uno squilibrio mentale, dovuto ad un trauma infantile mai risolto. Qualche anno dopo Katie scompare misteriosamente, senza lasciare traccia e David è l’unico indagato. L’inchiesta diventa uno dei casi irrisolti, fino a quando molti anni dopo, non viene riaperta…
Intrigo e suspense sono gli ingredienti principali di un film che guarda ai grandi maestri del genere, abbellendo i fatti di cronaca e giuridicamente comprovati, con degli elementi di finzione che nel complesso risultano essere funzionali al racconto. La pecca del film, però, sta nell’aver “omaggiato” vette irraggiungibili di hitchcockiana memoria (senza voler svelare nulla della trama, i riferimenti al regista inglese sono fin troppo evidenti). Il film certamente si poggia sulla bravura dei suoi interpreti principali: un Ryan Gosling, forse non alla sua migliore interpretazione ma pur sempre godibile, una Kirsten Dunst più matura e consapevole, e un sempre verde Frank Langella che nel ruolo del potente patriarca, seppure con poche scene a disposizione, tira fuori tutta l’esperienza e l’onestà intellettuale di un grande attore.
Serena Guidoni