Man Down – Recensione
L’America, soprattutto negli ultimi anni, ci ha abituato ai film di guerra, a uomini che scendono sul campo e ne rimangono ossessionati, dove il combattere diventa una sorta di ossessione, anche quando un trauma finisce per cambiar loro la vita per sempre.
Per Dito Montiel, invece, e il suo bellissimo Man Down, la guerra è solo un pretesto per raccontare il rapporto tra uomini, il rapporto tra un padre, Shia LaBeouf, e la sua famiglia, dopo essersi trovato a subire un fortissimo trauma, a causa di un suo errore, durante una missione in Afghanistan.
Man Down è un film di sentimenti, di emozioni, dove l’azione è relegata a pochissime scene, dove ad interessare il regista sono, principalmente, le reazioni tra i personaggi e le forze in campo. LaBeouf ci regala una delle interpretazioni più belle della sua intera carriera, aiutato anche da due protagonisti meravigliosi come Kate Mara e Jai Courtney.
La guerra vista come causa scatenante di un problema psicologico, come qualcosa che finisce per rimettere in discussione un’intera, tranquilla, esistenza. Dito Montiel riesce a trasformare quello che molti, superficialmente, potrebbero definire uno dei tanti war movie, una lunga seduta psicoanalitica, dove il personaggio di Shia LaBeouf mette a nudo le proprie ferite e i proprio demoni, in un percorso onirico, in un continuo dormiveglia tra realtà e immaginazione, dove l’amore immenso verso il figlio e la moglie, il bisogno di proteggerli, unito ad un senso di colpa lacerante, lo porta a vedere la guerra, reale e metaforica, in ogni cosa.
Un’analisi attenta, intensa e commovente, in un climax crescente che ci conduce fino ad un finale risolutivo e teso, che prende lo stomaco e il cuore, dove l’amore può sì curare ogni ferita, ma anche condurti verso un tunnel senza fine, dove nel gesto estremo si trova la sua unica liberazione.
Sara Prian