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Martin Eden – Recensione – Venezia 76

Quando lessi qualche tempo fa il libro di Jack London, Martin Eden, mi chiesi immediatamente come fosse possibile adattarlo rendendo tutte le emozioni di un protagonista che si scontra con i propri sogni e con la società. Servivano Pietro Marcello, classe 1976, e un attore meraviglioso come Luca Marinelli per portare sullo schermo in maniera più che degna questo pilastro della letteratura.

Pubblicato nel 1909, vede protagonista il giovane marinaio Martin Eden che salva da un agressione Arturo giovane rampollo della borghesia industriale che per ringraziarlo  lo invita nella sua abitazione di famiglia dove Martin conoscerà e si innamorerà della sorella Elena. La giovane donna, colta e raffinata, diventerà il simbolo dello status sociale cui Martin aspira a elevarsi. E così Martin inseguirà il sogno di diventare scrittore ed influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden, si avvicina ai circoli socialisti, entrando per questo in conflitto con Elena e con il suo mondo borghese.

Si poteva rischiare di creare una pellicola pesante, difficile da seguire, filosofica e fortemente politica, di quelle che rischiano di far perdere l’attenzione allo spettatore dopo poco, invece Marcello riesce a raccogliere il materiale a disposizione e, alternando scene di repertorio di un’Italia che si appresterà di lì a pochi anni ad entrare in Guerra, regala una pellicola che coinvolge ed emoziona, facendo rivivere l’Inghilterra di Jack London in una Napoli in fermento, dove borghesia e popolo sembrano scontrarsi in una fatiscente cornice Hugoniana.

Basta il primo frame per capire che il linguaggio che utilizzerà Marcello, diverrà una delle cose più interessanti della pellicola. A partire proprio dalla grana che per mette il regista di farci immergere in un’atmosfera da Super 8 e che trasforma il regista in un pittore che con il suo tocco deciso, ma delicato ci immerge in un mondo lontano, ma che parla alla società odierna (motivo per cui il libro di London è assolutamente intramontabile).

Martin è un sognatore che, passo dopo passo, si scontra con una realtà che gli diventa sempre di più insostenibile, quasi che l’ignoranza facesse vivere più sereno e senza pensieri il ragazzo che, aprendo gli occhi sul mondo, si trova ad aver e un velo che si chiude sul cuore e sull’anima in un pessimismo cosmico e cinico che ci richiama i grandi poeti italiani.

Se però dobbiamo trovare un difetto a questo Martin Eden, lo troviamo nella seconda parte dell’opera che accelera i tempi e crea delle ellissi temporali che fanno un po’ perdere il filo del discorso, come se non si avesse più tempo e si dovesse correre al finale. Questo fa perdere alla pellicola una certa tenuta che fino a quel momento aveva, facendo storcere il naso a più di una persona.
Tutto questo non toglie che il film di Marcello è una buonissima opera, in grado di riaffermare la potenza e l’importanza di un testo universale come quello di London, avvicinando lo spettatore ad una discorso, probabilmente mai concluso, delle lotte di classe.

Sara Prian

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