Mateo – Recensione
Coming of age di estrema sensibilità e legato a fatti realmente accaduti, la pellicola d’esordio della colombiana Maria Gamboa, già vincitrice del Grifone di Cristallo al Giffoni Film Festival 2014 e del Premio della giuria al Festival Internazionale di Cartagena 2014, Mateo, indaga con audacia e semplicità nella vita e nelle scelte coraggiose dei protagonisti, regalando uno scorcio di quell’America latina che non smette di sperare in un futuro migliore.
Mateo (Carlos Hernández), il protagonista, è un ragazzo di 16 anni che vive con la madre in un quartiere povero e violento, lungo la valle del fiume Magdalena, in Colombia. Raccoglie denaro frutto di estorsioni per conto dello zio e lo usa per aiutare sua madre, la quale accetta ma per necessità. Per non essere espulso dalla scuola, Mateo accetta di frequentare un gruppo teatrale diretto da un sacerdote, Padre David (Felipe Botero), molto attivo nel recupero sociale degli adolescenti. Mentre il ragazzo si scopre affascinato dalla libertà e dalla creatività del gruppo e anche messo sotto pressione dallo zio e sarà obbligato a compiere delle scelte difficili.
Imboccare la retta via, propendere per la legalità e soprattutto per l’indipendenza e una più serena quotidianità, questi i sogni del protagonista, uno dei tanti ragazzi prestati alla “mala” per sopravvivere nel luogo in cui è nato. Il panorama buio della coercizione imposto dallo zio delinquente si contrappone al clima di gioia, creatività e amore, che Mateo trova nel gruppo di giovani guidato da un divertente sacerdote.
È proprio la figura di Padre David, personaggio ispirato ad una persona reale (Guido Ripamonti, attore e regista che opera nelle aree periferiche colombiane), che si contrappone al villain della storia, per far risaltare la forza d’animo e la volontà di Mateo, che diventa simbolo della gioventù disorientata, ma ancora recuperabile.
Maria Gamboa indaga con attenzione, standogli il più vicino possibile, proprio la forza d’animo del protagonista; il nervosismo della camera quasi documentaristico, sottolinea la costante e pericolosa quotidianità del sobborgo povero e malfamato e costruisce la trama, seguendo passo passo Mateo.
Delicatezza, passione e sincerità, la regia della Gamboa si muove in questo verso, mettendo in scena una narrazione (la sceneggiatura è di Adriana Arjona) che di per sé è abbastanza prevedibile e costruita, ma impreziosita da una degna regia e da bravi interpreti, in special modo Hernández e Botero, nonostante la classicità dei personaggi che interpretano.
La pellicola tutto sommato quindi, si dimostra come una buona opera prima, ancorata alla realtà e nonostante un’ingenuità di fondo nella storia, l’accuratezza e ricercatezza visiva sono la dimostrazione della sensibilità della regista, che dà forma e rende dignità e giustizia al film.
Alice Bianco