Men in Black 3 – Recensione
Gli affascinanti, divertenti e stralunati “uomini in nero” sono tornati dopo ben quattordici anni dalla prima pellicola.
Da quando nel 1998 uscì nelle sale Men In Black, tutti noi fummo divertiti e sorpresi di questa simpatica ed irriverente pellicola, in cui si giustificava e si esplicava l’esistenza degli alieni sulla terra, mischiati quotidianamente ai terrestri nella vita di tutti i giorni. Ci divertì pensare che dove prendiamo il caffè la mattina, potrebbe esserci un vesuviano alla cassa, chiunque sognò di avere un aggeggio che azionandolo era in grado di cancellare la memoria e inserire al posto di quell’avvenimento un’innocente bugia. J e K, lo fanno da quattordici anni, garantendo all’umanità la tranquillità e la beata non curanza del sapere, con i loro metodi poco ortodossi e molto efficaci.
Il terzo capitolo della saga è una pellicola dove ci si è concentrati soprattutto sulla cura della sceneggiatura, e meno sulla spettacolarizzazione delle situazioni, rispetto ai precedenti prodotti, con il risultato di un film narrativamente umoristico e leggero.
Gli agenti J e K fanno coppia da anni, con le loro caratteristiche e i loro battibecchi, ripuliscono, monitorano e “flashano”, quando serve, i malcapitati testimoni inconsapevoli di aver assistito ad un’azione contro alieni nascosti. Il rapporto fra i due è paragonabile a quello di una vecchia coppia, con i silenzi e le sfuriate, in questo caso c’è J (Will Smith che sembra non voler invecchiare) che si lamenta dell’imperscrutabilità e la freddezza di carattere di K, spronandolo ad essere più emotivo, di far trasparire di più la sua umanità. Ma K nasconde un segreto, che va oltre quelli dell’universo, e per scoprire di cosa si tratta e riuscire ad apparare i conti con il passato c’è bisogno di un vero e proprio salto nel tempo, tornare a dove tutto ebbe inizio per risanare il presente, ed evitare la distruzione del pianeta terra per mano di Boris l’animale, l’acerrimo nemico di K negli anni’60. Anche perché si sa, siamo ciò che costruiamo, non possiamo che venire dal passato ed è proprio li che la storia si svolge, con J e un K giovanissimo, degnamente personificato da Josh Brolin, che ruba letteralmente la scena a Tommy Lee Jones (volontariamente messo da parte). In questo déjà-vu emozionale tante sono le trovate comiche, da un insolito Andy Warhol, alla constatazione che le modelle sono tutte aliene (e J lo ha scoperto a sue spese), in più il regista Barry Sonnenfeld ne approfitta, grazie alla sceneggiatura di Etan Cohen, per esplicare il rapporto fra i due colleghi agli antipodi, spiegando come mai due caratteri così diversi si siano scelti e trovati in questo strano mestiere. Si ride in Men in Black 3, che rispetta i canoni di una commedia con la giusta dose di azione e umorismo, ma apportando un valore aggiunto rispetto ai due precedenti film, ovvero l’introspezione che viene affrontata nei personaggi, lasciando spazio alle emotività e alle fragilità dei protagonisti, spiegandone la natura del rapporto.
Presentato al grande pubblico nella versione 3D, è una pellicola che non ne sfrutta a pieno le potenzialità, seppur la versione tridimensionale, strano ma vero, non infastidisce lo spettatore. Indossate, quindi, gli occhiali più scuri che possedete, i Men in Black sono tornati e potreste incontrarli armati del loro fedele “flashatore”, pronti a rassicurarvi con una variante verità, fedele amica dell’incuria del mondo.
Sonia Serafini