Millennium – Uomini che Odiano le Donne – Recensione
Un caso. Letterario prima, cinematografico poi, per ben due volte.
Tradotto per la prima volta per il grande schermo nel 2009 ad opera del regista Niels Arden Oplev, ora il primo libro della trilogia best-seller di Stieg Larsson pubblicata postuma, che ha venduto 65 milioni di copie in 46 paesi di tutto il mondo, ritorna nelle sale per il remake a stelle e strisce. Ma c’è remake e remake, perché, quando alla regia c’è quel mago di David Fincher, uno dei talenti più cristallini della nuova Hollywood, c’è da stare sicuri che del film si discuterà, se solo si pensa a quanto ogni sua opera abbia lasciato il segno, soprattutto per la sua capacità unica di dipingere con tratti potenti le pieghe più nascoste e turpi dell’animo umano.
La vicenda scorre sul filo della tensione per tutti i suoi 160 minuti di durata (che volano via senza un solo momento di stanchezza). Mikael Blomkvist (Daniel Craig) un giornalista finanziario co-proprietario della rivista “Millennium” deciso a ristabilire la propria reputazione dopo essere stato condannato per diffamazione, viene assunto dal potente industriale Henrik Vanger (Christopher Plummer) per indagare sulla scomparsa della nipote Harriet avvenuta nel 1966. Convinto che la ragazza sia stata uccisa da un membro della sua famiglia, Vanger fa sistemare il giornalista in una dependance della sua proprietà immersa tra i ghiacci della cittadina svedese di Hedestad. Intanto Lisbeth Salander (Rooney Mara) un’investigatrice dal look stravagante che lavora per la Milton Security, viene assunta per indagare su Blomkvist ma si ritrova presto a lavorare insieme a Mikael che la contatta per aiutarlo a scoprire la verità sul caso di Harriet Vanger dopo aver scoperto la sua abilità di hacker. Lisbeth è una ragazza schiva che vive ai margini della società, è stata più volte vittima di violenze, ma è anche una giovane indomita e coraggiosa. I due iniziano così a scoprire una serie di omicidi del passato stranamente legati fra loro e stringono un singolare legame.
Violenza (fisica e psicologica), brutalità, bassi istinti, paura, si coniugano perfettamente in un amalgama di immagini patinate e disturbanti allo stesso tempo. Le analogie con Seven, il film che impose Fincher all’attenzione del pubblico, sono molte, prima fra tutte l’immagine del laido assistente sociale torturato e marchiato col sangue, in una sorta di contrappasso infernale, dalla furia vendicatrice della ferita Lisbeth.
Ma ad essere singolari sono anche i punti di contatto tra Fincher e Larsson (li affascinano gli stessi argomenti, crimini, abusi di potere, violenza contro le donne, xenofobia e razzismo) e tra il regista e il personaggio di Blomkvist (una sorta di alter ego di Larsson, come lui giornalista) entrambi dediti a una dolorosa opera di “sradicamento”: della corruzione nella finanza e nel governo uno, del male nascosto nelle pieghe dell’animo umano l’altro.
La giovane hacker-investigatrice Lisbeth Salander è il personaggio più interessante del film, definita “spietata eroina-folletto” , “un monello”, “una Audrey Hepburn con tatuaggi e piercing”, “vittima indifesa trasformatasi in vigilante”, “efficiente come il guerriero di un videogioco”, ma anche eroina dark che sembra uscita dalla striscia di un fumetto aggiungiamo noi. L’attrice che la interpreta, la sorprendente Rooney Mara, colpisce per la totale adesione a un personaggio difficile (si è sottoposta ad una vera metamorfosi fisica, rasandosi, dimagrendo 10 chili, bucandosi col piercing) affiancando un convincente Daniel Craig.
Bianco e nero, freddo e caldo, ghiaccio e fuoco, neve e sangue, bene e male, colpa e punizione, amore e odio, il film vive di un’alternanza di opposti, coniugati in una forma perfetta fatta di un montaggio curatissimo e di una fotografia funzionale ai toni della narrazione. Una forma essenziale e levigata (in tono con l’ambientazione scandinava) e un contenuto ricco e sfaccettato che lascia ampio spazio alle passioni (trattenute o esplose). Un film complesso, costruito con un mestiere affilatissimo, che lascia visivamente il segno. Ma soprattutto un’opera capace di mostrare quanto insondabile sia il mistero racchiuso nell’animo umano attraverso due figure distanti che finiscono per incontrarsi sul terreno comune di pulsioni fatali e fortissime.
Armonia e disarmonia, divisione e fusione, un gioco di contrasti potenti anima tutto il film come il rapporto tra i due protagonisti. E lo stesso gioco domina i visionari e fantastici titoli di testa, già da soli un vero capolavoro. Materia liquida, oleosa, nera e poi il fuoco, il fuoco di un film destinato ad incendiare gli animi degli spettatori.
Elena Bartoni