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Mine – Recensione

Combattere in Afghanistan per la proprio nazione che non è l’Italia, bensì l’America ed essere un marine. Ambientazione e protagonista atipici, per un film che vede alla cabina di regia una coppia di italiani: Fabio Gualglione e Fabio Resinaro. Il risultato? Un one man show, ma non troppo, che da thriller si trasforma in parabola di vita, evolvendo la suspense di pari passo con le paure e la presa di coscienza del protagonista.

Mike, (Armie Hammer) sta tornando al campo base dopo una missione, con il migliore amico e collega, Tommy (Tom Cullen), quando inavvertitamente, è proprio Mike a poggiare il piede su una mina antiuomo. L’amico resta vittima, lui invece, non si può più muovere, altrimenti salterà in aria. In attesa di soccorsi per due giorni e due notti, dovrà sopravvivere non solo ai pericoli del deserto, ma anche alla terribile pressione psicologica della situazione.

La guerra, i marines costretti a missioni suicide nel deserto, i marines come Mike che vanno a combattere senza sapere il perché, senza conoscere il nemico, su questo ed altro, fanno riflettere i due registi, nonché sceneggiatori, costruendo una pellicola degna di nota, soprattutto per quanto riguarda il panorama del cinema italiano.

La Francia ci aveva già provato con Passo falso (2016), un film molto simile, ma che si distacca da Mine per la sua troppa superficialità. Ciò che scaturisce dal film di Fabio&Fabio è, al contrario, la parabola di vita e morte, di disillusione e speranza, che deve affrontare il protagonista.

Il deserto, ambientazione e scenografia del film, diventa ben presto luogo interiore di Mike, asciutto e arido nel ricordare il passato remoto e recente, gli sbagli, le paure e i rimorsi. Un passo, solamente uno e il suo destino sarà compiuto, ma non è facile.

Il coraggio, la voglia di non rinunciare a vivere, il cercare di voler rimediare, il non voler assomigliare ad un padre padrone violento, tutto ciò lo sprona, lo aiuta ad andare avanti, così come uno dei berberi del posto, che in tono ironico lo raggiunge e gli tiene ”compagnia”.   

Tensione, suspanse certo, come il genere prevede, ma il clima viene anche stemperato da alcuni sorrisi. L’uomo in ginocchio si rialza, la debolezza lo fortifica, lo fa combattere fino all’ultimo per riuscire a sopravvivere e fare il passo successivo.

Con un ottimo ritmo, nonché cura dei dettagli, dalla sceneggiatura alla regia, Guaglione e Resinaro, riescono a dare vita ad un film tutt’altro che scontato, che va in profondità, una metafora sull’esistenza, che utilizza la mina come oggetto di riflessione, per il protagonista e per lo spettatore, coinvolto appieno nel film, tra turbamento e presa di coscienza.

Alice Bianco

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