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Motel – Recensione

Un luogo claustrofobico illuminato da deboli luci multicolor, un oggetto misterioso causa di tragedie, un mefistofelico Robert De Niro che ritorna ad indossare i panni del mafioso su di giri, un John Cusack vittima e preda ed una finta damigella da salvare che nasconde il suo lato da vedova nera. Ci sono proprio tutti gli elementi per mettere in scena l’ennesimo noir thriller ridicolo, senza la benché minima originalità e l’esordiente David Grovic, ci riesce in pieno.

Cusack, nel ruolo del protagonista, Jack, la cui professione rimane segreta, viene incaricato dal boss Dragna (Robert De Niro) di custodire una borsa, con il divieto categorico di aprirla. Approdato in un motel sperduto, indicatogli dal russo, Jack deve attendere. La nottata però, improvvisamente si movimenta, dopo aver fatto conoscenza con Rivka (Rebecca Da Costa), un ex stripper che lavora per Dragna.

“Cosa c’è in quella dannata borsa?” questa la domanda che il protagonista e, di rimando, lo spettatore, si chiedono per l’intera pellicola. L’unico elemento e motivo interessante per cui valga la pena proseguire la visione di Motel, titolo italianizzato di The Bag Man, quello che meglio indentificherebbe la pellicola.

Tutto il resto però, è noia. Più che di originalità infatti, il film è sostenuto dal perno della prevedibilità, elemento che in una pellicola di questo genere non dovrebbe esserci. Alcuni momenti di sorpresa ci sono, ma non si contano nemmeno su una mano.

Per non parlare poi di personaggi come il direttore del motel, un somigliante ma molto più rozzo, Norman Bates, che vaga con una carrozzina appartenente alla madre morta, per non parlare del finto e fuori posto magnaccia vestito da Nick Fury degli X-Men e delle inutili e vergognose interpretazioni di Robert De Niro e dello sceriffo al suo soldo, Dominic Purcell.

A far fare una magra figura a tutti gli uomini del cast, compreso il regista, che compare in un breve cameo finale, la femme fatale Rivka, una donna dalle mille sfumature, che con la sua inespressività e mettendo in bella vista il suo corpo, pare essere uscita da un’altra tipologia di film.

Quel chiaroscuro, più scuro che chiaro, che imperversa, non riesce quindi a nascondere le gravi mancanze della pellicola, che incanalata in un genere lo stravolge completamente e in negativo, dimostrando come attori di un certo calibro, si siano qui ridotti quasi a caricature di se stessi.

Esordio quindi puramente sotto tono quello di David Grovic, che con un miscuglio di elementi troppo classicheggianti, con situazioni, personaggi e dialoghi stereotipati, messi in scena senza un po’ di fascinazione o suspense, dona allo spettatore un film vuoto, con fronzoli che stridono fra loro e senza la benché minima idea di dove andare a parare.

Alice Bianco

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