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Oculus – Recensione

Tim e Kyle, due fratellini segnati dalla morte violenta dei genitori in un’apparente tragedia della gelosia, sono ormai ragazzi. Lui è appena uscito dalla riabilitazione (era considerato corresponsabile del fattaccio) e vuole affrontare la realtà in maniera reazionale, mentre la sorella identifica il vero colpevole in uno specchio da loro tenuto in casa e già portatore di eventi luttuosi presso tutti i precedenti possessori. Si riappropriano dell’oggetto malefico grazie ad un’asta e tentano di distruggerlo, consentendoci nel frattempo di assistere alla ricostruzione degli eventi tramite flashback incrociati. Il primo impatto farebbe pensare ad un tipico film di paura sotto le righe, fondato su accenni sibillini e suggestioni implicite, con orrore solo immanente in attesa di scatenare un delirio sanguinolento al momento opportuno. E la sostanza è a grandi linee quella, sebbene le pretenziose mire del regista Mike Flanagan puntino ad una contaminazione più spinta e rischiosa: psico-drammone familiare a propulsione paranormale, con vaghi e occasionali rimandi a classici come “Poltergeist”, “Ballata macabra” o persino (chiamiamolo classico) “Insidious” di James Wan. Ne risulta un affastellamento di validi spunti mal gestiti, un dissennato pasticcio. La ripetuta sovrapposizione tra passato e presente, in teoria concepita per tracciare un percorso circolare da aprire e chiudere nell’arco di 100 minuti, è in concreto macchinosa e confusionaria. Entrando nel dettaglio si potrebbero segnalare i dialoghi ingolfati da divagazioni inutili, la regia tanto affannata nella ricerca dell’effetto quanto carente nei fondamentali (fa aspettare troppo e male, e i pochi spaventi sono telefonati), e non ultimo il vizio di scindere la vicenda in più direzioni per imboccarle tutte e nessuna. Troppi registi horror di inizio millennio insistono nella velleità inconsistente di mescolarlo alla rinfusa con generi diversi. Se si vuole portare avanti un filone dove tutto è stato detto bisogna contare su lucidità e scaltrezza, doti riscontabili ad esempio in Drew Goddard e nei Vicious Brothers, non su castelli in aria. Unica nota positiva è la performance di Annalise Basso, baby-talento dalla rossa chioma, qui una testa sopra ad un cast adulto generalmente sbiadito.

 

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