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Ogni maledetto Natale – Recensione

Il Natale è il momento più spaventoso dell’anno. Questa almeno è l’idea alla base di Ogni maledetto Natale, commedia firmata dal trio di autori della serie TV Boris (divenuta poi anche film), la premiata ditta Ciarrapico-Torre-Vendruscolo.
Ebbene si, dimenticate le luci, l’allegria, le feste, i pranzi, i regali, il Natale secondo il gruppo di Boris è davvero un periodo cupo, freddo, senza sole, in una parola angosciante (La festa delle tenebre era stato ribattezzato nell’antichità), talmente spaventoso da chiedersi se i due protagonisti, giovani innamorati che si conoscono da pochi giorni, riusciranno a superarlo.
Dopo un divertente prologo che mostra il primo Natale tra i cavernicoli di 50.000 anni fa e passando per i Saturnali dell’antica Roma, si arriva alla Roma di oggi. La solita città piena di luci, addobbi, traffico impazzito e si, ladri travestiti da Babbo Natale. Proprio il giovane Massimo (Alessandro Cattelan), rapinato e colpito con un pugno da un Santa Claus borseggiatore, viene soccorso da Giulia (Alessandra Mastronardi). E’ colpo di fulmine, i due si innamorano ma…. mancano pochi giorni al Santo Natale. Che fare? Meglio dividersi e passarlo ognuno con i suoi? Forse, ma il ragazzo, in rotta con la famiglia, rischia di passare la sera della vigilia da solo. Giulia non ce la fa a staccarsi da Massimo e lo porta con sé a cena dalla sua famiglia in un paesino del viterbese.
E la prima parte della farsa ha inizio. Qui la serata si trasforma per il povero Massimo (che poi scopriremo essere rampollo di una ricca famiglia di industriali, i Marinelli Lops) in un vero incubo alla mercé dei rozzi Colardo, un gruppo di veraci campagnoli legati visceralmente al proprio paese, capaci di infiammarsi durante tutte le loro tradizioni natalizie: dalla partecipazione alla riffa, alla consueta partita di uno strano quanto assurdo gioco di carte (dall’inquietante nome di ‘spurchia’), fino alla feroce caccia al cinghiale della vigilia. Un gruppo di famiglia rozzo, violento, fuori dalle righe ma che crede con tutte le proprie forze nell’unità della famiglia, tanto da voler riportare la ‘cittadina’ Giulia (brillante neolaureata in architettura) nel suo paese d’origine per vederla candidarsi a sindaco. Ma gli spiriti non sono meno alterati anche nella ricca famiglia di Massimo, i Marinelli Lops, che conosciamo il giorno dopo, in occasione del pranzo di Natale. Una famiglia impegnata a far beneficienza per la ‘Caritam’ ma che nasconde disagi ben peggiori: tra industriali preoccupati anche il giorno di Natale dei numeri delle vendite, a rampolli in carriera fulminati sulla strada del fervore religioso. Fino al suicidio (o presunto tale) di uno dei tanti colf filippini della magione. Riusciranno i due Romeo e Giulietta del terzo millennio a sopravvivere al caos di due famiglie così distanti? 
Le definizioni per il film del trio di autori di Boris si sono sprecate molto tempo prima della sua uscita: ‘anti-cinepanettone’ (o ‘contro-cinepanettone’), ‘commedia sofisticata’, né l’uno né l’altro, oppure sia l’uno che l’altro. Etichette a parte, la pellicola si muove interamente su uno studiato gioco dei contrasti: miseria e nobiltà (con un’evidente omaggio alla celebre commedia di Eduardo Scarpetta nel gioco degli attori chiamati a vestire panni opposti tra la prima e la seconda parte), buio e luce, sporcizia e lusso, ma uguale miseria, economica da una parte, morale dall’altra. E se nella prima parte si fa leva soprattutto su una comicità di grana grossa con una serie di stereotipi (seppur divertenti) sui burini di turno, nella seconda si gioca più sottilmente su falsità e ipocrisie nascoste sotto la patina di ricchezza e lusso. Ed ecco l’amaro dietro la facciata di commedia brillante, il marciume dell’ennesimo gruppo di Parenti serpenti riuniti solo per l’apparenza di un sontuoso pranzo di Natale (e da applauso sono la ‘Madama’ Ludovica Marinelli Lops di Laura Morante, padrona di casa sull’orlo dell’isterismo, e il Silvestri di Marco Giallini preoccupato solo che, per ‘colpa’ di un filippino suicida, debba andare in fumo un pranzo con la bellezza di 1.800 euro di pesce che attende di essere servito!). 
Al di là di alcune evidenti mancanze, come quella di una sceneggiatura poco solida, il film fa quello che sostanzialmente promette: diverte, intrattiene, a tratti dissacra e distrugge tutto ciò che gli capita a tiro. E lo fa con la sua unica vera arma, un gruppo di attori eccezionali che, con toni tra il grottesco e l’esilarante, giocano sulla satira di alcuni tipi umani: come l’imprenditore di Francesco Pannofino (“Cosa c’entra il Natale con la religione?”) o il colf filippino di Corrado Guzzanti (che nostalgia i personaggi di una TV satirica che non c’è più!).
Tra una risata e l’altra la cosa che non si può fare a meno di notare è il posto nuovo in cui si viene a collocare il film di Ciarrapico, Torre e Vendruscolo, quello della commedia irriverente, folle, e per di più corale (la cinematografia britannica ne ha sfornate diverse negli anni passati) che vive di contrasti (atteggiamenti animaleschi ma veraci contro comportamenti falsi e impettiti), ma dove tutto, in fondo (e la bravura e il trasformismo degli attori sono lì a dimostralo), rappresenta la doppia faccia di una stessa medaglia.
Un Natale distante dai soliti mediocri cliché di commedia natalizia: finalmente qualcosa di diverso, almeno al cinema.

Elena Bartoni
 

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