Oldboy – Recensione (2)
Era il 2003 quando Park Chan-wook portava sui nostri schermi il fumetto di Garon Tsuchiya, disegnato da Nobuaki Minegishi, “Oldboy” facendone un cult soprattutto tra i cinefili e gli appassionati. Ci riprova nel 2013 Spike Lee che, continuando sulla scia della crisi delle idee del cinema americano, tenta un remake impossibile, fallendo non tanto nella messa in scena anche accettabile, ma in una sceneggiatura parossistica e parodistica del capolavoro coreano.
Joe Doucett (Josh Brolin) è un pubblicitario che viene rapito e rinchiusto per 20 anni in una stanza. Dopo essere stato rilasciato senza spiegazioni, l’uomo decide di scoprire l’identità del suo rapitore e riconciliarsi con la figlia Mia. Nell’impresa verrà aiutato da una giovane crocerossina, Marie (Elizabeth Olsen) pronta a tutto per il suo amore.
E’ bene dirlo fin da subito l’Oldboy del 2013 perde completamente l’atmosfera dell’originale, trasformandosi in un’ americanata che scopre le carte in tavola troppo presto. E se la vendetta è un piatto che fa servito freddo, per questo film sembra provenire direttamente dal freezer, a causa dei tempi troppo dilatati che non riescono a trasformare il ritmo in serrato come dovrebbe essere.
Coadiuvato da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, la pellicola diventa qualcosa di parodistico che raggiunge il culmine in uno splatter pressapochistico e un combattimento di gruppo coreografato come se fossimo davanti al peggior ballo tra crew di Step Up.
Tutte le parti di questo “Oldboy” sono legate in maniera fragile, come se Spike Lee avesse voluto creare una “bucket list” di scene e situazioni presenti in Park Chan-wook e che dovevano esserci anche qui, ma senza una reale cognizione di causa, rendendole moltissime volte sconnesse tra di loro.
Il regista americano decide poi di mantenere gli stessi motivi di vendetta dell’originale, cambiando alcuni elementi che lo rendono ancora più fragile dal punto di vista narrativo, con una critica ai mass media che manipolano la realtà e la mente delle persone più deboli e alla società malata e corrotta, ma, anche qui, senza approfondire.
Le scelte, i cambiamenti operati da Spike Lee per rendere più attuale e mainstream la pellicola non risultano per niente vincenti e lo si capisce fin da subito con quel prologo assolutamente inutile che disperde lo spirito, il mistero e la tensione che doveva immergere fin da subito lo spettatore.
Anche i personaggi di contorno sono costruiti con pressapochismo, memorabile Samuel Lee Jackson che più che un attore sembra Balotelli con quella cresta gialla e il vestito rosso nero, e finiscono per essere quasi inutili ai fini della storia. Meritevole di menzione solo la grandissima interpretazione di Sharlto Copley, nei panni del villain di turno.
Più un operazione di marketing che cinematografica, “Oldboy” è un’opera sconnessa, che non riesce ad incidere o a coinvolgere lo spettatore assorto più a guardare l’orologio, dopo una scena finale che manca d’intensità e partecipazione.
Sara Prian