Page Eight – Recensione
Una spy story aggiornata al nuovo scacchiere politico del terzo millennio, questo in estrema sintesi Page Eight, film con cui il grande sceneggiatore, regista, drammaturgo inglese David Hare si presenta al Festival del Cinema di Roma nella sezione “Focus”. Autore di sceneggiature importanti come quelle per The Hours e The Reader – A voce alta, Hare è stato una delle presenze eccellenti della sezione dedicata al cinema britannico dove, oltre a presentare il suo nuovo film, ha scelto due pellicole per la retrospettiva “Punk & Patriots” e, insieme allo scrittore Hanif Kureishi, ha animato un interessante incontro con il pubblico, in cui si è parlato di cinema inglese di ieri e di oggi, ma non solo.
Page Eight è la storia di Johnny Worricker (Bill Nighy), agente veterano dei servizi segreti dell’MI5, un uomo d’altri tempi, calmo e osservatore, che adora il jazz e colleziona opere d’arte. Una sera, rientrando nel suo appartamento, fa la conoscenza casuale della sua vicina di casa, Nancy Pierpan (Rachel Weisz), affascinante attivista politica. Poco dopo, viene convocato dal suo capo nonché migliore amico Benedict Baron (Michael Gambon) che gli sottopone un dossier top-secret con la preghiera di esaminarlo. Dopo aver letto il documento, Johnny rivela di aver trovato delle scomode rivelazioni sul Primo Ministro Inglese (Ralph Fiennes) e ne parla in un incontro a porte chiuse con Benedict, la collega Jill Tankard (Judy Davis) e con un ministro. Poco dopo, Benedict muore improvvisamente per un infarto. La morte del suo capo è stata davvero accidentale? Johnny sente puzza di bruciato e decide di andare più a fondo con l’aiuto della misteriosa Nancy, una donna che lotta per la verità sulla morte del fratello avvenuta in circostanze ancora da chiarire durante una manifestazione pacifica contro gli insediamenti abusivi israeliani in Medio Oriente.
Un intreccio ben congegnato e regolato come una sofisticata bomba a orologeria, con la tensione che sale contemporaneamente all’emergere di scomode verità sulle macchinazioni non sempre pulite dell’Intelligence britannica: tutto senza un inseguimento, senza uno sparo, senza alcuna traccia di sangue. Una sceneggiatura impeccabile che si fa cinema di grande qualità.
Hare regista-autore ha saputo inventare una figura affascinante, un agente dei servizi segreti malinconico e riflessivo, un uomo che vive di sensi di colpa nei confronti della sua famiglia (in particolare della figlia) ma che prende coscienza che non è troppo tardi per salvare quello che resta della sua anima e della sua coscienza, facendo uscire alla luce del sole le oscure zone d’ombra dell’operato del suo governo. Un sistema politico di cui il nostro eroe ha sempre fatto parte e che rivela tutto il suo marciume quanto più ha dovuto venir meno al rispetto dei diritti umani per far fronte all’attuale ‘guerra globale’ al terrorismo. Uno script di grande attualità che ritrae in modo impietoso il mondo occidentale “post-11 settembre” e i nuovi assetti di politica internazionale retti dall’asse Stati Uniti-Gran Bretagna. Un nuovo scenario di cui è specchio anche il servizio di Intelligence di Sua Maestà.
I temi e le atmosfere sono vicini alle storie di John Le Carré (debito ammesso dallo stesso regista), gli attori sono perfetti, a cominciare da Bill Nighy, impeccabile spia-gentleman, ben affiancato dalla bella Rachel Weisz e da una convincente Judy Davis nei panni di una collega ambigua e manipolatrice. Facile poi, vedere sotto le spoglie del Premier inglese (piccolo ruolo per Ralph Fiennes) una chiara somiglianza con l’ex inquilino di Downing Street Tony Blair.
Il film è stato girato per la televisione inglese BBC, come ha ricordato Hare prima della proiezione “Sono qui al Festival di Roma per presentare il mio film televisivo, e questa è la dimostrazione che certi prodotti per il piccolo schermo possono avere la stessa qualità di un prodotto cinematografico”. Affermazione profondamente vera.
E il suo intreccio spionistico che ruota attorno alla cruciale “Pagina 8” di un dossier e alla figura demodé di un uomo che crede ancora nel valore dell’integrità morale, val bene l’applauso del pubblico del grande schermo. Eh già, la classe non è acqua.
Elena Bartoni