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Passioni e desideri – Recensione

Un “girotondo” che coinvolge due personaggi alla volta (evidente omaggio-adattamento dell’omonima opera teatrale di Schnitzler), un valzer di relazioni amorose a 360 gradi (360 è il titolo originale del film, banalizzato in italiano come Passioni e desideri) in giro per il mondo, da Vienna a Bratislava, da Londra a Parigi, da Denver a Phoenix, fino a Rio.
Un vera staffetta di relazioni, tradimenti, bugie, in cui una serie di personaggi si passano il testimone dando vita a un film corale (evidente il debito alla grande lezione altmaniana) che coinvolge uomini e donne di diversa età e ceto sociale, in tunnel di amore e erotismo.
Tutto ha inizio a Vienna dove Mirka (Lucia Siposova), una giovane slovacca, fa delle foto sotto la guida di un pappone, Rocco (Johannes Krisch) che usa un sito web per approcciare uomini d’affari. Subito dopo, la ragazza si reca a un appuntamento con il manager Michael Daly (Jude Law) che però, scoperto da un suo cliente, decide di rinunciare alla escort. Subito dopo a Londra, vediamo Rose (Rachel Weisz), moglie di Michael, troncare la relazione con Rui (Juliano Cazarré), il suo giovane amante brasiliano. Il ragazzo a sua volta viene lasciato dalla fidanzata Laura (Maria Flor) che, per alleviare le sue pene d’amore, si imbarca su un volo per tornare in Brasile dove incontra l’anziano John (Anthony Hopkins) diretto negli Stati Uniti per riconoscere il cadavere di una ragazza che si sospetta essere sua figlia scomparsa da anni. E così via, in una staffetta da un personaggio all’altro.   
Il regista brasiliano Fernando Meirelles (autore dei pluripremiati City of God e The Constant Gardener) costruisce un gioco a incastri quasi matematico nella sua riflessione sulle scelte cruciali (“una catena ininterrotta di bivi sulla strada” come dice la voce fuori campo della ragazza su cui si apre il film) che quotidianamente siamo costretti a prendere ignorando talvolta il peso delle conseguenze. La domanda è sempre quella, frequentatissima dal filone delle sliding doors: le nostre vite sono davvero intrecci di coincidenze o tutto è in qualche modo stato programmato? Il leitmotiv fin troppo ovvio della ormai totale interconnessione e interdipendenza del mondo in cui viviamo  è l’idea cardine attorno a cui l’acclamato sceneggiatore Peter Morgan (suoi gli script di Frost/Nixon, The Queen, Hereafter e dell’atteso Rush di Ron Howard sui campioni di Formula Uno Niki Lauda e James Hunt) ha elaborato la sceneggiatura a partire dalla presa di coscienza del devastante effetto domino di una crisi finanziaria globale. Le azioni e le loro conseguenze sono viste attraverso la metafora delle relazioni amorose con lo scopo di mostrare, al di là di differenze, la comune radice dell’esperienza umana e la grande difficoltà di amare. E così siamo inviati a seguire i personaggi del film solo in un piccolo segmento delle loro vite (ignorando il prima e il dopo) che li vede prendere una strada che in qualche modo è un comune momento di redenzione.
Ma, dopo un incipit promettente con la scena del set fotografico, il film si perde man mano mancando soprattutto di coinvolgimento emotivo (qualche lampo è affidato all’episodio che vede Anthony Hopkins alle prese con la giovane brasiliana conosciuta per caso in aereo e che a sua volta sta per cadere vittima involontaria della sua coraggiosa scelta di cambiare rotta alla sua vita).
La struttura circolare (annunciata dal titolo originale) della vicenda che si apre e chiude a Vienna ha il suo corrispettivo negli espedienti tecnici utilizzati dal regista come l’abolizione di alcuni stacchi e l’uso di sovrapposizioni e split-screen. Il cerchio di 360 gradi si chiude anche dal punto di vista narrativo con l’esplicita scena finale quando la sorella della escort che aveva aperto il film, propone all’autista succube di un losco boss mafioso di fare un giro del “Ring”, famoso anello stradale che circonda il centro della capitale austriaca. A suggello di tutto, le immagini di un’altra ragazza che fa delle foto nuda da pubblicare sul web. E’ il cerchio della vita che corre, corre e corre, tra bar, ristoranti, camere d’albergo, appartamenti, strade, aeroporti.
Il film rimane un’opera riuscita a metà con buone intenzioni di partenza e con un cast stellare che appare smarrito nel giro del mondo che il regista vuole fargli compiere e che questa volta, forse, al di là di tanto dissertare su impulsi, desideri, imprevisti, speranze, vorrebbe solo scendere dalla giostra.

Elena Bartoni

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